STUPIDA RAZZA

mercoledì 27 aprile 2022

Mazzate tra gli europei sul ring dell’energia

 

Uno dei motivetti propagandistici più fischiettati dall’inizio del conflitto in Ucraina riguarda la presunta unità europea. Molti esegeti hanno irriso Vladimir Putin   per i suoi errori: contava su una frammentazione dell’Ue, ha ottenuto una risposta compatta e ostile. Dopo due mesi di ostilità, l’analisi andrebbe per lo meno rivista. Nel «fronte compatto» europeo, infatti, si sono aperte faglie che uno sguardo superficiale non coglie, ma che sembrano destinate a spalancarsi ulteriormente. All’ap parenza, tutti sono concordi nel condannare «l’a g gre ss ion e russa». In realtà, sotto traccia si consuma uno scontro feroce per l’energia e per il predom i n io. Allo stato attuale, l’Ue è divisa in almeno due blocchi. Il primo è quello che raggruppa le nazioni più «oltranziste» (così le ha definite un analista preparato come D e m o s te - nes Fl o ro s ), ovvero gli Stati baltici e la Polonia. Da quelle parti il risentimento nei confronti della Russia raggiunge tassi elevatissimi, e non è un caso che proprio da lì giungano le spinte maggiori per l’inasprimento dello scontro, anche con balzi in avanti che hanno imbarazzato persino gli Usa. Questi Stati possono permettersi di mostrare zanne affilate perché, dal punto di vista energetico, si sentono tranquilli. Negli ultimi anni hanno già gradualmente diminuito l’acquisto di gas dalla Russia, e qualora le forniture dovessero essere totalmente sospese a causa di un embargo o di un blocco da parte di Mosca, baltici e polacchi potrebbero rivolgersi a Nord per procurarsi ciò di cui hanno bisogno. A giugno del 2021 sono iniziati i lavori nel mar Baltico per il completamento di Baltic Pipe, un gasdotto di 275 chilometri che dovrebbe trasportare il gas dalla Norvegia direttamente in Polonia - passando per Danimarca e Svezia - e che dovrebbe essere messo in funzione il primo ottobre di quest’anno. Questo gasdotto avrà una capacità annuale di 10 miliardi di metri cubi di gas, e dovrebbe consentire alla Polonia di diventare un «centro nevralgico per questa sezione d’Eu ro - pa». In ogni caso, polacchi e baltici possono contare sulla disponibilità di rigassificatori, dunque possono anche rifornirsi di gas liquefatto, magari di produzione americana, cosa che non tutti gli Stati sono in grado di fare. Guarda caso, le nazioni europee più prudenti nei riguardi della Russia sono proprio quelle che non possiedono rigassificatori e sbocchi sul mare. Ecco dunque il secondo blocco europeo, composto da Austria, Germania e Ungheria. Queste condannano l’attacco di Puti n , certo, ma si oppongono alla sospensione dell’acquisto di gas. Berlino, come noto, dipende in larghissima parte dalle forniture russe (circa il 26% del fabbisogno), anche perché non può contare su rigassificatori che consentano di sostituirle con il gas liquefatto americano (il quale, poi, costa di più). Giusto pochi giorni fa, i vertici dell’associazione datori di lavoro tedesca (una sorta di Confindustria) e l’associazione dei sindacati hanno inviato una lettera al governo spiegando che «un immediato embargo sul gas comporterebbe arresti della produzione, ulteriore deindustrializzazione e continue perdite di posti di lavoro». È facile capire perché il cancelliere Olaf Scholz insista a tirare il freno a mano e ad abbassare i toni sulla questione ucraina. Certo, le pressioni internazionali sono fortissime, e probabilmente la Germania sarà costretta a cedere da qualche parte. Può darsi che acconsenta all’i nv io massiccio di armi o a un embargo sul petrolio: entrambe le prospettive, seppur dannose, sono comunque meglio della rinuncia totale al gas. «Le recenti mosse del governo di S ch ol z », ha scritto Fo - reign Po l icy, «suggeriscono che Berlino stia optando per un nuovo tipo di Ostpolitik, la politica di distensione nei confronti di Mosca iniziata d al l ’allora cancelliere W i lly Brandt alla fine degli anni Sessanta. Prima di diventare cancelliere, all’inizio di dicembre», ha ricordato la celebre rivista, «S ch ol z ha detto che Berlino avrebbe dovuto mantenere sempre aperto il dialogo con Mosca». È sempre Foreign Policy a notare come in questi giorni sia «ritornata la divisione Germania-Francia» e, per quanto interessata sia la sua prospettiva, non ha torto. Emmanuel Macron, fresco di vittoria (anche se non certo schiacciante), ora non ha più la grana elettorale fra i piedi e può tornare a combattere la sua battaglia per la leadership europea. Sin dall’i n i z io aveva cercato di giocare la sua partita, provando un dialogo con Puti n , poi si è riallineato a Washington. Ora insiste per attuare l’embargo sul petrolio russo. Può farlo a cuor leggero: il 36% dei consumi totali francesi sono coperti dal nucleare: ciò che la Germania importa dalla Russia, la Francia l’ha in casa. Infatti non è stata penalizzata dall’incremento dei prezzi dei combustibili fossili come Germania e Italia, e ha in programma un potenziamento nucleare che consenta ancora maggiore indipendenza. Insomma, M ac ro n ha gioco facile in questa fase: può far bella figura con gli Usa e l’Ue e, allo stesso tempo, indebolire i tedeschi. Diverso il discorso per la Spagna, che dipende per il 47% dei consumi dall’Algeria. Esatto: la stessa Algeria a cui l’Italia ha chiesto di aumentare le forniture di gas. In effetti, gli algerini ci hanno promesso miracoli, anche perché attualmente sono ai ferri corti con gli spagnoli (che appoggiano il Marocco sulla gestione del Sahara). Dovrebbero fornirci ben 9 miliardi di metri cubi in più nei prossimi anni. Più gas per noi, però, significa meno gas per gli spagnoli. Tradotto: ulteriori tensioni interne all’Eu ro pa . Ma il punto davvero dolente sta nel fatto che, negli ultimi tempi, la produzione dello Stato nordafricano è calata, ed è cresciuto il consumo interno. Dunque non è affatto detto che Algeri riesca a mantenere gli impegni nei nostri confronti (discorsi simili valgono per gli altri fornitori africani e asiatici). In buona sostanza, l’Ita l i a è oltranzista nei toni come il blocco baltico, ma in difficoltà con l’energia come il blocco tedesco. E mentre in Europa, come sempre, tutti pensano agli affari propri, noi siamo i soliti che fanno i fenomeni e si infilano nei guai fino al collo.

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