STUPIDA RAZZA

lunedì 27 dicembre 2021

L’equilibrio post pandemia va raggiunto con un nuovo modello economico

 

I modelli di equilibrio economico generale sono il
cuore della teoria economica e il quadro teorico di
riferimento per le previsioni degli scenari dei
principali centri di ricerca. Le urgenze di oggi
(pandemie, riscaldamento globale) suggeriscono
di aggiornare alcune delle loro ipotesi di base
che
oggi appaiono obsolete.
Nel modello di equilibrio economico generale
tradizionale, i consumatori massimizzano la loro utilità
soddisfacendo le loro preferenze attraverso la domanda
di beni e servizi. L’utilità dei consumatori è costruita
generalmente secondo il principio di “autointeresse
miope” per il quale si è più felici se aumentano le
dotazioni monetarie o la quantità di beni e servizi
consumati. Dall’altro lato del mercato c’è una moltitudine
di piccoli produttori con la medesima struttura di
preferenze che massimizzano il profitto e decidono
quanto capitale e lavoro utilizzare per produrre i beni e
servizi
richiesti dai consumatori.
Il “miracolo” di questo modello è che una somma di
interessi “egoistici” (quelli dei consumatori e dei
produttori) si trasforma in benessere per la collettività
attraverso il principio della concorrenza sui mercati (la
mano invisibile): i produttori per poter conquistare quote
di mercato devono competere sui prezzi a parità di qualità
e alla fine in equilibrio gli extraprofitti (ciò che resta dopo
aver pagato i fattori della produzione) scompaiono. In
questa versione estrema del modello basta seguire i
propri istinti e non c’è bisogno di preoccuparsi di fare del
bene
perché ci penserà il mercato a rimettere tutto in
ordine. Se Hobbes aveva bisogno di uno Stato Leviatano
per evitare la guerra civile tra gli homo homini lupus,
Smith è più ottimista e pensa che la mano invisibile basti.
Questa versione del modello è solo un archetipo di
riferimento che lascia necessariamente il campo a un
approccio più realista. In molti mercati dal lato dell’offerta si formano infatti monopoli e oligopoli, esistono beni

pubblici che il mercato non ha interesse a produrre in
modo ottimale (tra di essi salute, sicurezza, istruzione,
conoscenza) ed esternalità che le azioni di consumatori e
produttori possono generare. Per tutti questi motivi
l’equilibrio spontaneo dei mercati non coincide più con
l’ottimo socialmente desiderabile. Appare a questo punto
un deus ex machina (il pianificatore benevolente che ha a
cuore il benessere sociale e dispone di tutte le
informazioni e il potere necessari per risolvere il
problema) che attraverso tasse o regolamenti riporta il
sistema verso l’ottimo socialmente desiderabile.
La storia passata, e ancor più quella recente della
pandemia, ci insegna che il lieto fine previsto da questi
modelli non si verifica. I pianificatori benevolenti non
esistono e al loro posto i responsabili delle istituzioni
spesso hanno obiettivi personali che non coincidono con
quelli socialmente desiderabili,
oppure non hanno le
informazioni e il potere necessari per portare il sistema
all’equilibrio. L’emergenza pandemica e il riscaldamento
climatico sono due mali pubblici globali che ci fanno
comprendere
come siamo ormai un’unica comunità
dove tutto è interconnesso e rendono ancor più vive e
drammatiche interdipendenze
ed esternalità negative
perché bastano comportamenti sbagliati di uno o più
attori per produrre danni a tutti gli altri.
Lentamente comincia a emergere un nuovo modello di
equilibrio economico generale che supera alcune delle
assunzioni del modello precedente, partendo dal fatto
che i dati empirici suggeriscono
che una quota rilevante di consumatori e produttori (resa sempre più sensibile
dalle sfide
e dalle urgenze che stiamo vivendo) non è
“miopemente autointeressata”. Gli esperimenti di
economia comportamentale suggeriscono che le
persone sono caratterizzate, oltre che dal desiderio di
massimizzare i propri risultati personali,
da generosità e
dono, reciprocità e avversione alla diseguaglianza. E
scoprono che le virtù sociali, ancorché faticose e non
scontate, aumentano non solo soddisfazione e senso di
vita, ma anche fertilità e successo economico e sociale. La
realtà dei fatti suggerisce inoltre che molti produttori
hanno un’ambizione superiore a quella di massimizzare
il profitto
che consiste nell’affiancarvi l’obiettivo di un
impatto sociale e ambientale
che può conquistare la
gratitudine dei propri concittadini. Quest’economia fatta
di consumatori e produttori differenti sta crescendo
sempre di più nel voto col portafoglio dei consumi e dei
risparmi responsabili e nella proliferazione di
organizzazioni sociali e produttive che non hanno come
obiettivo unico
il massimo profitto (cooperative sociali,
fondazioni di comunità, benefit corporation, banche etiche e cooperative, fondi etici, imprese che
sinceramente praticano la responsabilità sociale
d’impresa, imprese sociali per citare solo alcune delle
molteplici forme giuridiche in cui la nuova sostanza si
esprime). La crescita della nuova economia aumenta
anche il coraggio delle istituzioni nel fare scelte politiche
verso il bene comune. I politici sono infatti fortemente
condizionati dalle lobby imprenditoriali e dai sondaggi
quotidiani sulle preferenze politiche degli elettori. Man
mano che i nuovi consumatori e i nuovi produttori si
espandono, la spinta dal basso a cambiare le regole
cresce. E dunque anche il voto col portafoglio pubblico (il
20% circa degli acquisti di beni e servizi sui mercati è
fatto di appalti pubblici) inizia ad adottare regole che
segnano il passaggio dal concetto del massimo ribasso a
quello dei criteri minimi sociali
e ambientali fino a
introdurre il principio di generatività negli appalti. Nel
frattempo, in un mondo globalmente integrato, le aree
dove la nuova economia si espande maggiormente
imparano a “proteggersi” dalla minaccia della
delocalizzazione e dal dumping sociale e ambientale di
aziende che cercano luoghi di produzione dove costi del
lavoro,
ambientali e fiscali sono maggiori attraverso
“meccanismi di aggiustamento alla frontiera” . In questo modo chi vende da
Paesi terzi non rispettando gli standard sociali,

ambientali e fiscali dell’area del mondo “più illuminata”
paga la differenza di costo alla frontiera.
Il nuovo modello di equilibrio economico generale che
sta emergendo oggi dunque modifica e integra quello
precedente
superando ipotesi limitanti (ed errate) e
anche lo scacco nella capacità di risolvere i problemi. Si
parte dal riconoscimento di un’antropologia diversa che
spiega la presenza di consumatori e produttori
responsabili
e dal ruolo di stimolo che il voto col
portafoglio dei primi
può generare sulle istituzioni,
aiutandole a superare i loro limiti e portando il sistema
all’equilibrio socialmente desiderabile.
I difetti del vecchio modello (un’antropologia negativa e
non coincidente con la realtà dei fatti e un eccesso di
ottimismo sul ruolo e il potere delle istituzioni) vengono
superati da un sistema più generativo ed equilibrato dove
tutti gli attori del sistema
(consumatori, produttori e
istituzioni) all’interno di un’economia di mercato danno il
loro contributo e consentono di affrontare e risolvere le
sfide dei mali pubblici globali.

Il simbolo del nuovo modello di equilibrio economico
generale non è più la mano invisibile (un meccanismo
provvidenziale
che rimette tutto a posto
indipendentemente da noi) ma biciclette-tandem con
tanti pedalatori
(un meccanismo provvidenziale che
funziona
e moltiplica le nostre energie se pedaliamo
insieme).
Non è il battito di ali di una farfalla, ma il voto
col portafoglio
la leva che oggi può cambiare e sta
iniziando a cambiare il mondo.

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