Ma l’emergenza c’è o non c’è? Oppure, magicamente, compare e scompare a seconda delle esigenze della mano pubblica? In effetti, siamo davanti a un fenomeno assolutamente curioso, sia logicamente sia giuridicamente: lo stato d’e m e rge n za è stato esteso fino al 31 marzo prossimo; per sovrammercato, in termini sanitari e di libertà pubbliche, ogni settimana vengono sfornate dal governo nuove restrizioni. Ma se invece si considera la questione dal punto di vista economico, per lo Stato - oplà - improvvisamente l’emergenza non c’è più e i cittadini devono contare solo sulle proprie forze. Anzi: devono perfino temere di vedersi presentare un conto salatissimo. I capitoli da affrontare al riguardo sono tre: cassa integrazione, ristori, tasse. Cominciamo dal primo. Con la giornata di domani, 31 dicembre, finisce la cassa integrazione Covid, e quindi molto presto scatterà realisticamente una raffica di licenziamenti. Si badi bene: poiché la legge di bilancio è ormai chiusa, non ci sono altri interventi in programma. Se ne riparlerà: ma non si sa quando né come. Intendiamoci: un ritorno al mercato, all’ordinarietà, alla fine degli interventi straordinari di welfare era prevedibile, e per alcuni versi assolutamente naturale. Peccato che però l’emergenza non sia affatto finita, e anzi sia stata alimentata –proprio nelle ultime settimane – dalla diabolica combinazione tra le misure annunciate e poi adottate dal governo e dal clima di terrore politico e mediatico. Si pensi al settore alberghiero, dove si temono 70.000 licenziamenti. Il comparto aveva avuto un pochino di respiro in estate, sperava in una sostenuta ripresa natalizia, ma poi (già prima della variante Omicron) l’atmosfera di panico aveva fatto piovere le disdette, ora stimate ben oltre il 50%, senza contare (altra stima) gli oltre 11 milioni di mancate prenotazioni. Consideriamo la cosa dal punto di vista dei dipendenti: il governo non prevede più nessun ammortizzatore sociale dopo il 31 dicembre? Teniamo presente che siamo in presenza di persone che già da molti mesi non potevano contare sull’80% dello stipendio, ma su trattamenti più ridotti, in genere da 5-600 euro mensili. Secondo capitolo: ristori. (AIUTI !) Proviamo a considerare la stessa realtà dal punto di vista delle imprese. Degli alberghi si è già detto: per dare il senso di drammaticità della situazione, basterà dire che a Roma un albergo su quattro non ha mai riaperto da marzo 2020. Quanto ai ristoranti, si stima il rischio di 50.000 chiusure. Ma anche in questo caso non risulta aperto alcun ombrello. Questo giornale criticò aspramente (e giustamente) le modalità e l’entità dei ristori previsti dal governo di G iu s e p p e C o nte. Si trattò di indennizzi irrisori rispetto a quanto avvenne in Germania o nel Regno Unito. Vale la pena di ricordare che, durante la primissima ondata Covid (2020), quando Boris Johnson si adattò a decidere un primo lockdown, innanzitutto si premurò di garantire economicamente i britannici: il giorno stesso in cui il governo chiuse tutto, riconobbe ai lavoratori dipendenti l’80% del loro stipendio (fino a 2500 sterline), e a tutti gli autonomi l’80% del loro fatturato dell’anno prima. Vogliamo fare paragoni con quanto avvenne qui? Eppure, per lo meno, ai tempi di Conte si fece corrispondere alle chiusure una qualche misura di ristoro. Ora, nulla. Da questo punto di vista, il green pass ha funzionato come alibi «perfetto» dal punto di vista del governo. Come dire: visto che non ti ho fatto chiudere, ora puoi cavartela da te, caro commerciante. Peccato che il mix di restrizioni e campagna di panico abbiano ucciso la ripartenza. Terzo e ultimo capitolo: quello fiscale. Già dal 1° settembre scorso, sono ripartite le cartelle dell’Agenzia delle entrate, sia pure – si disse – in numero contenuto. Ma ora, da gennaio, il flusso sarà accelerato. Come unica attenuazione, si è previsto di concedere altri 180 giorni per pagare. Come dire: se ricevo una cartella a gennaio, in teoria dovrei pagarla a marzo, ma lo Stato mi consente di arrivare fino a settembre. Ma tutti comprendono che settembre sarà un inferno, considerando le scadenze fiscali ordinarie, più gli acconti di fine novembre e fine dicembre. L’ingorgo fiscale di fine 2022 sarà dunque devas ta nte. A maggior ragione, sarebbe consigliabile ragionare su tre interventi. Da un lato, una misura di alleggerimento di tutte le cartelle esistenti (una maxi rottamazione, o una maxi rateizzazione spalmatissima nel tempo, ovviamente senza sanzioni né ulteriori interessi). Da ll’altro, una moratoria fiscale per i settori più in difficoltà: far pagare le tasse in questo momento a albergatori e ristoratori è un atto di sadis m o. E infine - ma il tema sempre purtroppo sparito dai radar, dopo gli striminziti tagli fiscali di 8 miliardi previsti in manovra – una riduzione fiscale vera, forte, consistente, generalizzata, che aiuti il settore privato a rilanciarsi. A meno che un’altra forma di pandemia (quella dello statalismo) abbia convinto tutti che l’Ita l i a si riprenderà solo con Pnrr e piani pubblici decisi tra Bruxelles e Roma.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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