Terrore in tv e crisi Eppure volevano «salvare il Natale»
Il piano del
governo per
«salvare il Natale» si rivela
un disastro. È
la logica conseguenza di un protocollo
che non cambia: continuiamo a inseguire i numeri dei
contagi, a puntare tutto
sulle virtù miracolose dei
vaccini e a spargere terrore
in tv. Così la paranoia cresce inarrestabile e l’economia va a rotoli.E meno male che il governo
aveva escogitato il piano per
«salvare il Natale». Pensa se ci
fossimo presentati senza piano, chissà che diamine sarebbe accaduto: l’Ap ocalis se,
probabilmente. Ve ne sarete
già resi conto, ma non è che
vada proprio tutto benissimo,
ultimamente, e non pare che
sia stato poi salvato granché.
Passata la festa principale
e scartati i regali, la nuova ritualità virologica prevede il
test per scoprire chi abbia superato indenne cene e pranzi
e chi invece si sia beccato il
malanno. Jova n otti - uno di
quelli che si filmavano in salotto per invitarci a restare
chiusi in casa - ora si riprende
dal letto per informarci di essersi contagiato, esattamente
come Nicola Savino, ma nessuno dei due sembra sfiorato
dal dubbio che qualcosa non
torni nell’approccio italico
alla pandemia.
Il punto è proprio questo.
Ora esperti e politici si sono
trincerati dietro l’e nn es im o
scudo retorico: la scienza non
offre certezze, ripetono; il virus muta, dunque l’i m p rev i -
sto è dietro l’angolo, sostengono. Ed è vero, verissimo.
Peccato che fino a ieri gli stessi geni esibissero certezze incrollabili. Le stesse che, in
fondo, prevalgono ancora
adesso. Se il virus cambia, almeno in teoria, dovrebbe
cambiare anche il nostro modo di affrontare la malattia.
Dovremmo prendere atto dei
mutamenti e agire di conseguenza. Invece continuiamo
a insistere con il medesimo
atteggiamento chiusurista,
insistiamo a seguire il numero dei contagi, proseguiamo a
spargere paranoia e terrore.
Il risultato è che abbiamo vissuto le feste con il patema,
incolonnandoci per il tampone, guardando con sospetto i
figlioletti untori e congelando i nonni terzodosati a furia
di esporli al vento gelido che
penetrava dalla finestra aperta. E, nonostante tutto, il conto dei positivi ha continuato
ad aumentare dismisura, e i
più si sono trovati a precipitare nella Gehenna burocratica: «Mio cugino di terzo grado
si è contagiato, devo mettermi in quarantena fiduciaria?»; «Ah, Giovanni è positivo? Ma mica è un mio contatto stretto! Ma chi lo conosce
quello?»; «I bambini? Nel
dubbio li tengo a casa tre mesi
da scuola, tanto l’i s tr u z io n e
non serve, guarda Fe d ez !».
Al di là delle questioni
emotive, sgradevoli ma in
fondo affrontabili, ci sono pure quelle pratiche, molto meno gestibili. I dati sul traffico
aereo, tanto per fare un esempio, sono impietosi. Riporta
l’agenzia Agi che «il giorno di
Natale sono stati cancellati
più di 2.800 voli in tutto il
mondo, inclusi oltre 990 provenienti o diretti verso aeroporti Usa, con oltre 8.500 ritardi. E la viglia ci sono state
circa 2.400 cancellazioni e
11.000 ritardi».
Migliaia di persone hanno
dovuto riprogrammare le vacanze o rinunciarvi proprio. (CAZZI LORO !)
Dopo i milioni di disdette registrati prima del 25 dicembre, l’onda negativa continua
a salire. Da tutta Italia albergatori e ristoratori mostrano
preoccupazione: gente che rinuncia alle camere d’a l b e rgo,
clienti che fanno saltare la cena o il cenone, stranieri che
preferiscono starsene a casa.
A tutto questo ben di Dio
dobbiamo aggiungere il nuovo giro di chiusure delle discoteche proprio in vista di
Capodanno, ennesima mazzata per i locali e gli imprenditori del divertimento che ormai si sono abituati alla presa
per i fondelli reiterata. E dire
che il green pass era stato presentato come la geniale trovata che ci avrebbe permesso di
riacquistare la libertà e di riaprire tutto, di tornare a ballare e divertirci. Si è visto.
Vale la pena di chiedersi, a
questo punto, da dove origini
il disastro. Dall’arrivo di Omicron? In parte sì. Soprattutto,
però, i danni che stiamo subendo dipendono ancora una
volta dalla psicosi che le nostre istituzioni continuano
ad alimentare. Insistiamo a
legare le restrizioni ai contagi, il terrorismo mediatico
non allenta la presa. Le terapie intensive sono piene al
12%, i reparti ordinari al 14%:
non è bello, ma non è nemmeno un’ecatombe. Eppure nulla muta: testardi, ancora vagheggiamo la scomparsa del
virus. Peggio: le autorità sanitarie insistono a incolpare i
no vax, vogliono farci credere
che - negando ai non inoculati
l’accesso ai bar - risolveremo
qualcosa. In pratica, è come
se al ministero della Salute
fossero convinti di curare il
Covid togliendo il caffè a chi
rifiuta la puntura. Di fronte a
queste trovate viene da chiedersi a che cosa serva l’Is t i tu to superiore di sanità: a certificare i fallimenti? Giusto per
rinfrescare la memoria: il 4
dicembre l’Iss spiegava che
dopo 5 mesi l’efficacia del
vaccino passa dal 75 al 44%.
Ora invece chiarisce che il
siero dopo 5 mesi copre solo
al 30%. Un ottimo lavoro ex
post, complimenti, peccato
che per raccogliere dati basti
l’Istat. L’Iss dovrebbe servire
da guida, dovrebbe suggerire
ai governanti di cambiare
strategia quando il quadro sanitario si modifica. Ma niente: si limita farci sapere che il
divin vaccino perde colpi, ma
i politici fan finta di non sentire e restano appesi all’i n iezione sperando che li cavi da
guai.
Forse, piuttosto, converrebbe prendere atto della
realtà: no, non abbiamo salvato il Natale, non siamo tornati
liberi e anzi rischiamo di sferrare altri colpi mortali all’economia. Se non demoliamo
il falso mito del green pass e
se non la piantiamo con il delirio sul numero dei positivi,
non ne usciremo più. Purtroppo viene il sospetto che
sia proprio ciò che vogliono i
p o l i t ic i .
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