STUPIDA RAZZA

venerdì 18 marzo 2022

Borse in ordine sparso tra attesa per la Fed Usa e calo delle materie prime

 



Da 130 a 96 dollari. Le montagne russe del petrolio segnano un -27% in cinque sedute. Numeri per cuori forti e che fanno il paio anche con i ritracciamenti di altre materie prime, tanto nel settore industriale(platino -16%) quanto in quello alimentare (caffè20%). Nell’ultima settimana il Crb index - un condensato delle principali commodities globali - ha ceduto il 7%. Solo il tempo ci dirà se si tratta di una semplice correzione o di un’inversione di tendenza ma perché valga la seconda ipotesi i grafici dovrebbero palesare ribassi ancora più importanti. Perché al momento quegli stessi prezzi che fino a poco tempo fa hanno sfidato la gravità verso l’alto stanno, ad occhio, semplicemente rifiatando. Quello delle materie prime si conferma un mercato decisamente volatile, secondo nell’arena dei mercati solo a quello delle criptovalute. La verità è che mentre non si fermano le bombe in Ucraina gli investitori fanno davvero fatica in questo contesto a prendere decisioni e a sposare trend definiti. La conferma della confusione arriva osservando l’andamento bipolare di Wall Street e delle Borse europee. Per due sedute consecutive le due aree geografiche sono andate in divergenza. Martedì è stata una brutta giornata per le azioni americane (con forti vendite in particolare sul settore growth) mentre il Vecchio Continente metteva a segno un bel rimbalzo. Ieri copione opposto: Wall Street tonica a fronte di un’Europa piatta in chiusura (Eurostoxx 50 -0,08%) di una giornata per larghi tratti in netto rosso. Non va dimenticato che questa è la settimana delle “quattro streghe”, quelle scadenze tecniche di futures e opzioni che condizionano le scelte di investimento professionali. La volatilità resta alta (Vix sempre sopra quota  30, ormai habitat naturale per l’ “indice della paura”) con l’allocazione di capitali sempre in balìa delle notizie che arrivano dal fronte bellico. L’ammissione del presidente ucraino Zelenski «non possiamo entrare nella Nato» è stata una goccia “bullish” all’interno di un quadro molto complicato. Oggi tocca alla Federal Reserve decidere di quanto tagliare il costo del denaro. Le probabilità più alte sono per un ritocco da 25 punti base, già scontato. Diversamente, se Powell si rivelasse più falco (magari tagliando spedito di 50 punti base) i mercati potrebbero non prenderla bene. Il punto è che, tecnicamente, ci sono pochi margini di manovra al ribasso prima che il quadro non si deteriori. Analizzando infatti i principali indici globali sono quasi tutti caduti nel cosiddetto “incrocio della morte” (death cross). A febbraio è toccato al Dax 40 e al Nasdaq. Da poche ore si sono uniti alla schiera anche S&P 500 e Ftse Mib. Di cosa si tratta? È quel movimento con cui il prezzo medio di chiusura degli ultimi 50 giorni incrocia al ribasso il prezzo medio degli ultimi 200 giorni. L’incrocio al ribasso della media mobile di un periodo più breve rispetto a quella che si ricava da una finestra temporale più ampia. È un segnale ribassista. Un campanello d’allarme. Non è detto che debba per forza essere presagio di una caduta (come accaduto nel 2008 quando il death cross aveva anticipato di qualche mese il crollo) ma certo è il segnale che qualcosa non va, un punto fermo sul fatto che i mercati azionari si siano ammalati. Solo che a questo giro della storia dovranno cavarsela da soli, senza il metadone che negli ultimi anni hanno ricevuto dalle banche centrali. Dovranno rialzarsi con le proprie forze. E per farlo, magari nel frattempo hanno bisogno che la Russia non faccia default e che dalle prossime trimestrali non arrivino troppi profit warning.  

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