STUPIDA RAZZA

sabato 5 marzo 2022

Neanche gli accordi sul gas con gli Usa eviteranno licenziamenti e blackout

 

Mentre ai piani alti di Bruxelles e pure di Palazzo Chigi erano tutti impegnati a celebrare la transizione ecologica a pedali, la realtà del post pandemia (parliamo del secondo semestre del 2021) spingeva le aziende a consumare più gas. Non rinnovabili oppure fonti energetiche modello Greta, ma proprio il gas. Tanto che nel corso dell’i nte ro 2021 l’Italia ne ha importato ben 76 miliardi di metri cubi. Cinque in più del 2020. Il principale rubinetto, da cui son passati 29 miliardi di metri cubi, è il Tarvisio. si tratta in toto di gas russo. L’altro accesso considerevole vede coinvolta Mazara del Vallo. Da lì sono transitati 21 miliardi di metri cubi provenienti dall’A l ge r i a . Il resto sono bricioline, fatta esclusione per Melendugno. Dalla cittadina pugliese transita il Tap, la p ip el i n e che si origina dall’Azerbaijan e che pesa adesso circa il 10% del nostro fabbisogno. Dai rigassificatori infine arriva non più del 13% del totale dell’oro azzurro importato in Italia. Algeria e rigassificatori sono rubinetti d’ingresso quasi saturi e qui c’è uno dei principali problemi del nostro immediato futuro. Se è vero, come sembra, che la svolta europea sia irreversibile tra Est e Ovest tornerà di nuovo una barriera non solo militare ma anche economica. Per l’Italia sarà in ogni caso un grosso problema. Se la guerra dovesse continuare a lungo il prezzo dell’ener - gia resterà altissimo. Se Mosca dovesse decidere di chiudere i propri gasdotti noi ci troveremmo senza il 40% del nostro fabbisogno. A quel punto potremmo anche metterci in ginocchio ad Algeri ma la p ip el i n e è quasi al massimo del suo flusso. E certo il Paese magrebino non può tagliare a Spagna Marocco e Francia per facilitare noi. Resta nel breve l’accesso via rigassificatori. Potremmo usare quelli europei. Ma qui si porrebbe un problema di prezzo. Ci arriverebbe dagli Usa, i quali non hanno una capacità produttiva infinita. Mandarlo a noi significherebbe dirottare parte di quello che va in Asia. Risultato i prezzi salirebbero ancora di più rispetto allo scenario di guerra permanente in Ucraina. «La politica dovrebbe concentrarsi su poche cose, tra queste la stipula di accordi di fornitura di materie prime a prezzi calmierati», spiega Gianclaudio Torlizzi, fondatore di Tcommodity. «Le logiche di mercato stanno di fatto saltando ed è bene rendersene conto quanto prima. Pensare che l’economia italiana ed europea possa sostenere anni di prezzi del comparto energy & commodities ai livelli attuali (protagonisti nei primi due mesi dell’anno del balzo più forte dal 1915, ndr) significa sottovalutarne enormemente gli effetti distruttivi sulla nostra economia». Il riferimento ci pare chiaro. Se siamo al fianco degli Usa in questa guerra, la Casa Bianca dovrebbe alzare il telefono e imporre alle proprie corporation un prezzo calmierato per il nostro Paese. Tanto più che la Casa Bianca sta valutando di mettere al bando il gas russo. Altrimenti i prossimi mesi faranno rimpiangere la pandemia e la guerra dello Yom Kippur. Senza contare che il gas è solo uno dei temi. Rimpiazzare Russia e Ucraina come fornitori di energia, metalli e materie prime siderurgiche è pressoché impossibile, mantenendo gli stessi livelli produtt iv i . «Sono molto elevati i rischi di una carenza o di un’interru - zione, a breve, delle forniture di materie prime, semilavorati e prodotti piani russi e ucraini», spiega Stefano Ferrari, responsabile dell’ufficio studi Sid e r w eb. «Ci sarà quindi un impatto diretto sui prezzi di ghisa, rottame, di bramme e dei prodotti piani in acciaio al carbonio, ma anche dell’a cciaio inox, perché la Russia è il terzo esportatore mondiale di nichel, un prodotto che già ha scorte molto basse». Per non parlare delle fabbriche del comparto acciaio che stanno già chiudendo per via dei costi delle bollette. Attenzione, non ci rinfranchi il passo indietro del commissario Frans Timmerman s, che grandissimo sostenitore del green deal ieri ci ha spiegato che il carbone può essere l’alternativa al gas russo. Più o meno ciò che ha detto Mario Draghi la scorsa settimana. Per quanto ci riguarda, le sette centrali a carbone, anche se fossero riattivate domani, coprirebbero il 4% del nostro fabbisogno. Mentre sul fronte Ue, vale la pena ricordare che tra i primi dieci esportatori di carbone ci sono Cina, Russia e Ucraina, la parte Est. Dunque per arrivare a soddisfare le esigenze ci sarebbe ancora un bel divario. Certo, tornando all’Italia, resterebbero le ultime due porte di accesso al gas da prendere in considerazione per le future politiche energetiche. La Libia, però, è destabilizzata dai russi e senza un nuovo intervento militare non sarebbe in grado di essere un partner. Il Tap, il gasdotto che approda in Puglia, potrebbe essere raddoppiato ma ci vorrebbero anni e in ogni caso fare affari con gli azeri significa sempre agire nell’ambito della sfera russa.Che cosa resta da fare? Negoziare subito a livello Ue con gli americani per chiedere rifornimenti che non ci affamino. Altrimenti la prospettiva per que st’anno è segnata. Blackout, tagli alla produzione e una economia di guerra improntata sulla forte riduzione dei consumi. Fino a oggi ci siamo concentrati sulla tecnologia. Sui telefonini e sull’indu - stria 4.0. Poi arriva una guerra e ci accorgiamo che il ferro, il gas e il petrolio li abbiamo dati per scontati. Troppo a lungo. Adesso aspettiamo ancora una dozzina di giorni, poi, quando ci saranno i primi blackout, vedremo come si direzionerà la politica internazionale del Paese. Quando le fabbriche dovranno chiedere la cassa integrazione perché saranno ferme ci auguriamo che si acceleri nel trovare nuovi accordi geopolitici. Non possiamo affidarci a gente che voleva imporci 70 gigawatt di rinnovabili pensando che bastassero per far andare avanti un mondo complesso come l’attuale. Un mondo nel quale la globalizzazione è fin i ta . 



Nessun commento:

Posta un commento