STUPIDA RAZZA

martedì 1 marzo 2022

Sull’ingresso dell’Ucraina nell’Ue dopo l’entusiasmo arriva la frenata

 

 « L’Ucraina è una di noi e la vogliamo nell’Ue », aveva scandito domenica, con l’enfasi degli annunci storici, Ursula von der L eye n . E ieri, dopo l’anticipa - zione del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, («Il governo ucraino sta preparando la richiesta ufficiale per l’adesione. La Commissione dovrà prendere una posizione ufficiale»), il presidente ucraino, Volodymyr Z el e n s ky, si è affrettato a dire sì: «Ci appelliamo all’Unione europea per l’adesione immediata dell’Ucraina con una nuova procedura speciale. Siamo grati ai nostri partner per essere stati con noi, ma il nostro sogno è stare con tutti gli europei e, soprattutto, di essere uguali a loro». E ancora: «Gli europei capiscono che i nostri soldati stanno combattendo per il nostro Stato, e quindi per l’i nte ra Europa, per la pace, per tutti i Paesi dell’Ue, per la vita dei bambini, l’uguaglianza, la dem o c ra z i a » . Sta di fatto che però, com’era largamente prevedibile, un conto sono le dichiarazioni pompose ed emotive, come quelle della presidente della Commissione Ue, altro conto è la realtà. E ieri è stato infatti il giorno della gran frenata tra Bruxelles e Berlino. Ecco il successore di Federica Moghe - rinicome Alto rappresentante per la politica estera Ue, lo spagnolo Josep B o r rel l : l’adesio - ne dell’Ucraina «è qualcosa che richiederà molti anni. Oggi questo non è all’ordine del giorno, credetemi. Dobbiamo lavorare su cose più pratiche». Stessa musica dal ministro degli Esteri tedesco, Ann ale na B ae r b o ck : «Tutti siamo consapevoli che un’adesione all’Ue non è qualcosa che si possa fare in alcuni mesi». In chiusura qualche parola più dolce: «L’Ucraina è parte della casa europea e l’Ue è sempre una casa dalle porte aperte». E anche uno spiraglio per altre partnership: «Oltre all’Ue ci sono molte istituzioni volte a impegnarsi per la pace e la sicurezza sul continente europeo». Nel frattempo Z el e n s ky, ieri mattina, ha riparlato con il segretario generale della Nato, Jens Stolte n b e rg , che poi ha così twittato, dopo aver sottolineato «il coraggio del popolo e dell’esercito ucraino»: «Gli alleati stanno aumentando il loro supporto con missili per la difesa aerea, armi anti carro, aiuti finanziari e umanitari». E qui, al di là della lingua di legno della diplomazia, sta la sostanza di ciò che sta accadendo in questi giorni: le armi servono a rafforzare le capacità di resistenza degli ucraini, tanto quanto le sanzioni servono a cercare di aprire crepe nel regime di Vladimir Putin. Non volendo o non potendo intervenire direttamente, le forze occidentali (Uk, Usa, Canada, Ue) hanno scelto la doppia strada della fornitura di mezzi a Kiev per rendere meno soverchiante la sproporzione di forze a favore di Mosca, e contemporaneamente quella delle sanzioni per indebolire la Russia dal punto di vista economico e geopolitico. L’altro teatro da considerare è quello dell’Onu. Si è svolta ieri una riunione speciale di emergenza dell’Assemblea generale sull’invasione russa. Prima un momento di meditazione e preghiera, poi una raffica di interventi (da Mosca prevedibili giustificazioni propagandistiche, addirittura evocando il fatto che l’inte rvento sia volto a ottenere la pace), e infine (mercoledì) il voto di una risoluzione di condanna dell’aggressione ai danni dell’Ucraina. «Ci troviamo di fronte a quella che potrebbe facilmente diventare la peggiore crisi umanitaria e dei rifugiati in Europa negli ultimi decenni», ha detto il segretario generale dell’Onu, A nto n io Gute r re s. Va segnalato il posizionamento cauto della Cina. Per un verso, una prevedibile condanna verbale delle sanzioni contro Mosca (definite «illegali e unilaterali», «non risolvono il problema», come ha detto il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Wan g We n bi n); per altro verso, uno scontato consenso per le preoccupazioni russe rispetto al vecchio tema dell’a ll a rgamento verso Est della Nato; ma non è mancato nemmeno un accenno al rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i Paesi, Ucraina inclusa (non certo un passaggio gradito a Mosca). Pechino non vuole un’escalation, ritiene di avere il tempo dalla sua parte, e non ha intenzione di farsi trascinare da un Puti n geopoliticamente radioattivo in un’accelerazione ingestibile. È su queste basi che venerdì scorso Pechino si era astenuta, come l’India, da un primo voto di condanna della Russia. Ma se l’astensione di Pechino è stata in fondo una buona notizia per l’Occidente, quella indiana è stata invece una delusione, il preannuncio di un posizionamento terzo. A dare un dispiacere a Puti n ci ha pensato E rd oga n . La Turchia infatti ha vietato il transito di tutte le navi militari attraverso gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, da cui si accede al Mar Nero, come ha comunicato il ministro degli Esteri di Ankara, Mevlut Cavusoglu. La situazione insomma è ancora molto fluida, e i grandi stanno alla finestra. Certo, Pu - ti n sembra aver sottovalutato la resistenza degli ucraini, la contrarietà all’invasione anche da parte di segmenti dell’opinione pubblica russa e una qualche capacità dell’Oc - cidente (seppur tardiva) di rispondere in modo non disunito e non disarticolato. 

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