STUPIDA RAZZA

mercoledì 20 aprile 2022

Dopo il gas, guai in vista sul greggio Stop a mezzo milione di barili libici

 

Pasqua con sorpresa. Nel corso del lungo weekend festivo, la compagnia di Stato libica, National oil corporation (Noc), ha invocato la forza maggiore in diversi campi di estrazione di petrolio e gas. L’azienda statale, responsabile delle attività di estrazione e sviluppo degli idrocarburi in Libia, afferma che un gruppo di persone «non meglio identificate» ha costretto i dipendenti a chiudere gradualmente gli impianti. La produzione di petrolio è stata fermata nel grande giacimento di Al Sharara e anche in quello di Al Feel, in cui è attiva la compagnia italiana Eni. Anche il terminal di Zueitina nel Golfo di Sidra è stato bloccato, cosa che di riflesso ha costretto allo stop anche altri campi (Anakhla, Abuatufol, Nafura e Al Intisar). Vengono a mancare così oltre 500.000 barili al giorno di petrolio, metà circa della produzione libica. Per il momento i flussi di gas in esportazione verso l’Italia attraverso il gasdotto che approda in Sicilia sono rego l a r i . Il blocco alla produzione del greggio libico, uno dei più pregiati perché leggero e a basso tenore di zolfo, è avvenuto in conseguenza dei movimenti delle opposte fazioni che nel Paese si fronteggiano nella lotta per il potere. Da una parte i sostenitori di Abdulhamid Dabaiba, capo del governo di unità nazionale, dall’altra quelli di Fathi Bashagha, designato alcuni mesi fa dal Parlamento libico di Tobruk quale successore di Da ba i ba , il quale però non intende lasciare il potere. Il blocco, sulla cui durata nulla è dato sapere, arriva in un momento in cui le tensioni sul fronte energetico sono al massimo. Mentre aleggia lo spettro dell’embargo europeo al petrolio russo, che avrebbe effetti gravi sull’economia, le complicazioni in Libia mettono a rischio il già cagionevole progetto del governo italiano di sostituire il gas proveniente dalla Russia con altre fonti. L’idea dell’esecutivo sarebbe di aumentare di 2 miliardi di metri cubi all’anno i volumi di gas in ingresso dal Paese nordafricano, che oggi ne esporta circa 2,5 miliardi all’anno. Se le premesse però sono queste, la toppa, più che essere insufficiente, rischia di non esserci affatto. L’Unione europea intanto ha posticipato la decisione su l l ’embargo totale di gas e petrolio dalla Russia, non per darsi tempo di organizzare le alternative, ma per non danneggiare il presidente uscente Emmanuel Macron nella corsa all’Eliseo. Se ne parlerà quindi dopo il ballottaggio del 24 aprile, ma sempre di più sono le voci e le pressioni, tutte politiche, a favore del blocco. Un blocco che per le economie tedesca e italiana sarebbe una catastrofe, a maggior ragione se ad esso si aggiungesse un blocco prolungato della produzione libica. Il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire ha dichiarato ieri che l’e m ba rgo sul petrolio russo a livello di Unione europea è ciò che il presidente francese Emmanuel Macron vuole. «Spero che nelle prossime settimane convinceremo i nostri partner europei a smettere di importare petrolio russo», ha detto Le Maire. La Russia esporta verso l’Europa circa 4 milioni di barili di greggio, che rappresentano il 35% dell’i m p o rt . Ma non è il greggio l’a s p et - to più critico di un eventuale embargo, bensì il gasolio. L’embargo riguarderà anche i prodotti distillati, di cui l’Europa è importatrice per il 20% dei propri consumi. La metà di questo import arriva dalla Russia. L’industria petrolifera russa sta rallentando e il prezzo del petrolio Ural è calato drasticamente. Mosca cerca quindi di organizzarsi stringendo accordi commerciali in Asia. «I flussi di esportazione sono rimasti praticamente gli stessi, ma le importazioni sono diminuite drasticamente a causa dei limiti logistici e delle restrizioni imposte dai paesi occidentali», ha detto qualche giorno fa il ministro delle finanze russo, Anton Siluanov. Nel primo trimestre dell’anno, in effetti, la Russia ha continuato a vendere petrolio e gas sino ad accumulare un avanzo delle partite correnti più che doppio rispetto allo stesso trimestre del 2021. Da metà marzo però, dopo l’e m ba r - go dichiarato da Stati Uniti e Gran Bretagna, si è verificato un calo dei quantitativi raffinati in Russia. Poiché la raffinazione del petrolio è orientata in gran parte all’e s p o rta - zione, per non subire troppi danni le compagnie petrolifere russe cercano di rendere efficiente l’attività delle raffinerie, evitando di saturare le scorte e contenere i rischi di fermate. Meglio lavorare a regime più basso ma continuo piuttosto che incorrere in arresti forzati e prolungati. Per questo le compagnie hanno inaugurato anche politiche commerciali che favoriscono un ribasso dei prezzi sul mercato interno, soprattutto per l’olio combustibile. Alcune raffinerie hanno invece anticipato le usuali manutenzioni primaverili, rimandando eventuali problemi di p ro du z io n e. «Le raffinerie statali in India stanno pianificando di acquistare quanto più petrolio russo possibile», scrive intanto The Economic Times, importante quotidiano finanziario indiano. Il prezzo più basso del greggio Ural rende fattibile ciò che prima non era economicamente sostenibile. Ora gli indiani intendono affidarsi a contratti di acquisto negoziati con la Russia, spuntando prezzi bassi anche nel lungo termine. Il Paese sanzionato si organizza e cerca alternative, mentre l’Unione europea procede spedita verso un nuovo, pesante pacchetto di sanzioni. Il laccio delle ritorsioni economiche si stringe, è vero, ma è difficile dire chi tra Europa e Russia sarà la prima a esserne soffocata. 

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