STUPIDA RAZZA

martedì 26 aprile 2022

Fare dell’Ucraina una guerra di civiltà costerà caro a tutti

L a cultura del debito è pericolosa. Per cultura del debito non intendiamo quella di prendere a prestito oggi per costruire un futuro migliore, ma quella di non affrontare i costi oggi per rimandarne il pagamento al futuro, se possibile alle prossime generazioni, senza curarsi se questi costi saranno più grandi. La cultura del debito ha fatto un salto di qualità di fronte alla guerra in Ucraina e ai costi che ne derivano. Non sto parlando solo della discussione su quanto debito pubblico aggiuntivo sia accettabile per attenuare i costi economici della guerra su famiglie e imprese. Anche questo debito, qualora sia necessario farvi ricorso, può essere incluso nel debito necessario ad assicurare un futuro migliore. Sto parlando di qualcosa di più inquietante, cioè del modo in cui la comunità occidentale, di cui l’Italia fa parte, sembra voler affrontare la guerra economica contro la Russia. L’impressione è che fino a oggi ci sia stata una gradualità di sanzioni che sembra disegnata in modo da minimizzare quelle che implicano un maggior costo immediato per i Paesi che le impongono, privilegiando quelle che spostano il costo in un tempo futuro, senza valutarne l’entità. Parlo di quelle sanzioni che rischiano di distruggere le istituzioni e le infrastrutture economiche e finanziarie del multilateralismo e della globalizzazione, usandole come armi per isolare il Paese aggressore. Al momento sembrano innocue per noi: cosa costa abbandonare una riunione del G20 quando parla il rappresentante della Russia, o bloccare le riserve della banca centrale russa, o escludere le istituzioni russe dai circuiti finanziari globali? Molto più costoso sarebbe oggi procedere a bloccare l’import di gas dalla Russia, magari temporaneamente, o intraprendere altre azioni con impatto immediato, anche quelle di aiutare maggiormente la difesa Ucraina, come chiede il suo governo. Ma questa è appunto la cultura deteriore del debito applicata alla geopolitica. Allontanare i costi immediati, anche se il tempo guadagnato può essere visto come utile per una migliore preparazione ad affrontare l’eventualità di una guerra prolungata, ma non considerare attentamente le azioni che producono danni futuri molto peggiori. Naturalmente questa analisi risponde all’idea che il nostro sostegno all’Ucraina sia solo finalizzato a porre fine il prima possibile alle stragi e a respingere l’invasione russa. Due obiettivi non identici, ma che è giusto perseguire insieme con ogni sforzo e a costo di sacrifici immediati. Le cose cambiano se si inizia a parlare di una guerra a difesa delle democrazie occidentali e si agisce in modo da mettere in discussione la possibilità di riformare consensualmente la governance economica globale, e con essa l’ordine globale, mantenendo ciò che di buono ha portato la globalizzazione al mondo, sia ai Paesi emergenti sia a quelli industrializzati, cioè alle democrazie liberali. Trasformare la guerra in Ucraina, che è una guerra specifica contro una invasione di uno Stato sovrano europeo e quindi non accettabile dall’Ue, in una guerra tra civiltà, valori e regimi politici non ha senso ed è una scelta pericolosa, che non è utile a raccogliere l’appoggio internazionale più largo per costringere la Russia a rinunciare all’invasione. Non possiamo considerare questa guerra come una resa dei conti tra le democrazie, che rappresentano una minoranza nel mondo, e i Paesi retti da sistemi diversi dalle liberaldemocrazie. La storia dal secondo dopoguerra in poi non ci indica grandi risultati ogni volta che si è andati in quella direzione. Attenzione a non pensare che l’Occidente possa isolare il resto del mondo non gradito. Il rischio è che avvenga il contrario, in Asia, in Africa e forse anche in America Latina dove le democrazie devono far dimenticare passate amicizie ingombranti. Anche se la globalizzazione come l’abbiamo conosciuta richiede un aggiustamento e nuove regole, queste devono essere concordate e condivise nell’interesse del benessere e della pace, che riguardano una popolazione globale di cui Europa e Stati Uniti rappresentano solo circa il 10 per cento. Troppo facilmente oggi molti dicono che con la guerra di aggressione in Ucraina è crollato il vecchio ordine globale. Certamente quest’ordine è in crisi, ma non tanto per la guerra in corso ma perché sono cambiati gli equilibri economici e politici globali e nuovi accordi sono necessari. Le istituzioni di Bretton Woods, dalla Banca mondiale al Fondo monetario internazionale, hanno bisogno di essere rinvigorite e riformate anche perché non possono essere più considerate le istituzioni dell’Occidente, essendoci molti altri attori oggi nel mondo. Ma non sarebbe una buona idea per l’Occidente buttarle a mare per non condividerne il governo. È necessario un nuovo ordine mondiale, ma per unire il mondo e non per dividerlo in blocchi impegnati a far prevalere la propria egemonia. Una volta nei contesti internazionali si parlava di engagement più nel significato di coinvolgimento che di confronto/conflitto ed era una buona prassi. Anche oggi contano le parole oltre che le azioni e l’Europa è chiamata a giocare un ruolo affinché l’Occidente non ne esca compromesso. Perché alla fine il “debito” viene a scadenza e si rischia di pagarlo con nuove guerre. 


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