STUPIDA RAZZA

mercoledì 22 dicembre 2021

Da Pechino tagli a riserve e tassi d’interesse

 

Rema in tutt’altra direzione, la Cina, imboccando con decisione la strada della politica monetaria e fiscale. Per la prima volta in venti mesi Pechino taglia i tassi prime rate da 3,85% a 3,80, succede a pochi giorni dalla seconda sforbiciata quest’anno dello 0,5 ai coefficienti delle riserve obbligatorie delle banche commerciali, con l’effetto di liberare nuove risorse per l’economia reale. Il cambio di passo cinese rispetto all’aumento dei tassi di intesse statunitensi, il primo dal 2018 a questa parte, è lampante. Si tratta però di misure auspicate dal mercato che, nonostante gli sforzi della Banca centrale, potrebbero non bastare a invertire la rotta tracciata a livello centrale. L’importantissima Work economic conference che si è svolta la scorsa settimana, preceduta da una riunione altrettanto strategica dello Standing Committee, ha ribadito che la bussola di Pechino nel 2022 sarà la stabilizzazione dell’economia nel solco delle riforme già avviate. Ragion per cui i default del settore immobiliare e il debito crescente degli enti locali non saranno risolti dallo Stato, ma dai real estate developers e dalle municipalità. Niente soldi a chi specula sulla casa nè agli amministratori locali incapaci di finanziare in maniera sana le realtà locali. L’economia cinese sta rallentando,(SI STARA' AVVIANDO NEL SENTIERO INESPLORATO DELLA DEFLAZIONE DA DEBITI.......?) a novembre gli indicatori economici hanno tutti segnato pessime performance, fatta eccezione per la bilancia commerciale che, a sua volta, si intreccia alla corsa dello yuan sul dollaro alla quale, peraltro, il Governatore Yi Gang non si è opposto. I vertici del Partito, inoltre, hanno autorizzato l’anticipo della spesa fiscale all’inizio del 2022 e incoraggiato i governi locali a emettere obbligazioni per finanziare nuovi progetti (ma dal finanziamento al progetto il passo non è breve, come ben si sa e Pechino non vuole ripetere gli errori del maxi-stimolo del 2008). La crisi del mercato immobiliare ormai sancita da tutte le agenzie di rating occidentali e il diffondersi della variante Omicron hanno scompaginato i piani cinesi di ripresa. La Cina è stata la prima a rintuzzare il Covid-19 ma, oggi, la situazione è più complessa, anche al netto delle dinamiche globali, tra le quali rientrano le trasformazioni in corso nelle holding cinesi del Big Tech e nelle quotazioni all’estero delle società di Pechino. La pressione interna sul lato della domanda è chiara, con la frenata sia degli investimenti in immobilizzazioni sia delle vendite al dettaglio di immobili residenziali nonchè nelle aree delle nuove abitazioni avviate dagli sviluppatori diminuite del 20% sul 2020. Anche le vendite al dettaglio si sono indebolite del 3,9% a novembre a causa del timore della gente di uscir fuori di casa e di contagiarsi, una tendenza accentuata dallo shopping online dell’11 novembre. Anche l’acquisto di nuove auto ne ha risentito, le vendite sono calate per il quinto mese consecutivo. Fine d’anno resa ancora più difficile da un aumento dei prezzi alla produzione che galoppano al ritmo più veloce da quarant’anni a questa parte, mentre - per il momento - quella dei prezzi al consumo resta relativamente contenuta. La produzione industriale cresce del 3,8% rispetto all’anno scorso, in leggero aumento da ottobre ma gli investimenti in infrastrutture sono diminuiti del 4,6% sul 2020, una contrazione ancor più marcata rispetto a ottobre. Pechino ha comunque dato un segnale forte alle banche di accelerare i prestiti ipotecari allentando nuovamente i controlli ma solo per sostenere la domanda “ragionevole” di case che servano «per vivere, non per speculare». Una sfida in cui i titolari stranieri di bond non sono certo in cima alla lista.

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