« L’allarme è a beneficio dei politici»

E se il lockdown fosse il presupposto degli allarmi che dovrebbero giustificarlo? Se la
necessità di varare restrizioni
fosse la premessa occulta degli
scenari catastrofici che le motivano? È un sospetto che affiora, leggendo un botta e risposta su Twitter, a proposito
del potenziale impatto della
variante Omicron nel Regno
Unito, tra il direttore del settimanale britannico The Spectato r, Fraser Nelson, e il professor Graham Medley, scienziato alla guida del team che elabora modelli probabilistici per
il Sage. Ovvero, l’ente governativo, consulente di Downing
Street per le emergenze.
L’esperto dichiara: le analisi
basate su prospettive non allarmistiche non «aggiungono
informazioni» a beneficio dei
vertici politici, i quali «sono
generalmente o esclusivamente interessati a situazioni in
cui bisogna prendere delle decisioni». In effetti, se venissero
bandite le profezie apocalittiche sul Covid, chi comanda resterebbe con il cerino in mano:
«I decisori non devono decidere niente, se non accade niente». Sembra così confermata
l’impressione che suscitano le
affannose rincorse dei governi
a chi è più rigoroso a imporre
divieti: e cioè, che la politica
stringa le briglie per dimostrare che «si sta facendo il possibile», o, comunque, che «è stato
fatto qualcosa». Indipendentemente dal fondamento scientifico delle misure, da una stima
razionale dei rischi e dei benefici che esse comportano, da
un confronto con chi ha scelto
strade diverse e, magari, ha ottenuto risultati migliori, o almeno non peggiori.
Sullo sfondo della disputa
social, diventata oggetto di un
articolo sul sito dello Specta -
to r, c’è ovviamente la preoccupazione per la diffusione di
Omicron in Gran Bretagna.
L’ultima pubblicazione del Sage paventava tra 200 e 6.000
morti al giorno, a seconda della durezza delle regole che saranno varate per reagire alla
minaccia. Sono timori cui è
stata data ampia eco anche
dalla stampa italiana. Repub -
b l ic a , ieri, parlava di una Londra in «stato di disastro»; il
C o r rie re insisteva sul pericolo
che si arrivi a 2 milioni di contagi al giorno; tutti gongolavano per la richiesta degli scienziati di stabilire una serrata di
due settimane. Il direttore dello Sp e c tato r, invece, ha segnalato un rapporto di Jp Morgan,
secondo il quale «le evidenze
in arrivo dal Sudafrica suggeriscono che le infezioni da
Omicron sono più lievi». Alcuni giorni fa, l’aveva ribadito a
una radio inglese il capo dei
medici di Pretoria, A n gel iq ue
C o etze e: «È la nostra quarta
settimana e non c’è motivo di
non fidarvi di noi, quando vi
diciamo che la malattia è blanda!». I dati dal Paese, d’altron -
de, parlano di un 1,7% di ospedalizzati, contro il 19% di ricoveri causato dalla Delta.
Nel s o n , dunque, ha chiesto
perché la Scuola di igiene e
medicina tropicale di Londra,
dove insegna il prof M edley,
«non abbia incluso uno scenario di virulenza inferiore, considerato che è un’opzione altamente plausibile, in grado di
cambiare enormemente le
prospettive». In tale circostanza, «non sarebbe necessaria
ne ssu n’altra restrizione, così
potrebbero essere evitati danni all’economia e alla società.
Perché non avete creduto che
valesse la pena contemplare
questo scenario meno allarmante (e piuttosto verosimile)?». Domande cui il luminare
ha replicato nel modo allucinante che abbiamo riportato.
Se dici ai politici che andrà tutto bene, loro come potranno
convincerci che ci hanno salvato, agendo prontamente?
Persino più inquietante un’al -
tra allusione di M e d l ey: «Di solito, creiamo modelli su ciò che
ci è richiesto. C’è un dialogo in
cui le squadre che stabiliscono
le politiche discutono con chi
si occupa di modelli su ciò di
cui esse hanno bisogno per caratterizzare le loro politiche».
E ancora: «Noi modelliamo gli
scenari utili alle decisioni».
Qualcuno sta suggerendo che i
politici vanno dagli esperti e
ordinano: «Queste sono le
scelte che abbiamo intenzione
di compiere, adesso cuciteci
addosso una previsione che le
legittimi»? Giustamente, il direttore del settimanale si interroga: «Che cos’è successo al
sistema originale, che consisteva nel presentare una “ra -
gionevole peggiore delle ipotes i”, insieme con uno scenario
mediano? E che senso ha elaborare un modello, se esso non dice quanto sono probabili
questi scenari?». Il sentore è
che l’eventualità meno calamitosa, benché più probabile,
non sia neppure presentata ai
ministri. Non si sa più se per
un pregiudizio degli scienziati
stessi, o per la pretesa dei politici di maneggiare orizzonti
che rendano obbligatorio un
loro intervento e, quindi, alimentino le loro manie di prota go n i s m o.
Me dley, poi, ha liquidato
sbrigativamente la questione
del fardello economico dei lockdown: «Non è la mia area di
competenza». I governi se ne
curano, o sacrificano tutto per
il bene della «sicurezza sanitaria»? E si può parlare davvero
di sicurezza sanitaria? Al di là
del paradosso per cui, nelle nazioni più vaccinate, tornano le
quarantene di massa, ci sono
Paesi in cui non è stato fatto
nulla, e che hanno già superato
l’o n d ata .
Fino ad alcune settimane fa,
la Romania veniva additata come un ricettacolo di untori no
vax. Essa registra, in effetti, solo il 39% di vaccinati con ciclo
completo. Tuttavia, nell’u l t ima versione della mappa dell’Ecdc, era anche l’unica tra i
27 membri dell’Ue ad annoverare due regioni verdi e nessuna zona rossa: l’onda s’è abbattuta e si è riassorbita, senza
lockdown e financo senza iniezioni. Il prezzo pagato, certo, è
stato alto: intorno ai 10.000
morti al mese da ottobre. In
Svezia (mai in lockdown, mai
green pass estesi e rafforzati), i
casi aumentano adagio e i decessi restano stabili. Pure il
Regno Unito ha parametri meno negativi dell’Italia, patria
delle serrate e culla della tesserina verde: con 10 milioni di
abitanti in più e oltre il triplo
dei nostri positivi giornalieri,
continua a piangere meno vittime di noi. Che, per tasso di
mortalità, in Europa occidentale siamo scavalcati solo dal
Belgio. Perciò, quando si sente
dire che il certificato Covid
avrebbe reso possibile il ritorno alla «normalità», sorge
spontaneo un quesito: è il
green pass che serve a non
chiudere, o la minaccia delle
chiusure serve a costringerci a
ingoiare il green pass?
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