STUPIDA RAZZA

domenica 13 marzo 2022

Con gli alleati, ma ci sono due condizioni irrinunciabili

 

Comunque la si consideri, la vicenda russoucraina si presenta come un rebus complicatissimo: al momento, ovviamente, non conosciamo né l’esito della guerra né la durezza (e la durata) del dopoguerra; possiamo solo intuire un immenso costo umanitario e un devastante riverbero economico destinato a ripercuotersi anche su di noi. Ai leader politici e agli osservatori più avvertiti, a mio avviso, si richiederebbe di tenere sempre presenti tre elementi certamente difficili da bilanciare, ma che andrebbero comunque tenuti insieme. Guai, a mio modo di vedere, se gli attori politici, culturali e mediatici dovessero dimenticarne uno o due: i rischi diventerebbero elevatissimi. Il primo elemento - inutile girarci intorno - è l’e s i ge n za di un posizionamento occidentale non ambiguo. Il 24 febbraio scorso, giorno dell’attacco russo, è diventato una data spartiacque: la cosa può piacerci o no, ma è come se fosse stata eretta una nuova cortina di ferro. Le accelerazioni della storia non ammettono molte repliche, e meno che mai incertezze, furbizie, ambiguità levantine. Comunque finisca la vicenda strettamente bellica (Russia stravincitrice, o invece Russia prevalente ma impantanata in una lunga guerriglia, o infine Russia destabilizzata da un andamento delle ostilità imprevisto per Mosca), rischiamo di entrare in una lunga e nuova guerra fredda: chi dovesse non trasmettere con chiarezza il senso di una scelta di campo indefettibile rischierebbe di diventare politicamente e culturalmente radioattivo. Addio a future ambizioni di governo; addio a relazioni proficue con Washington, Londra e le maggiori capitali occidentali; addio alla possibilità stessa di essere ascoltati e compresi nel campo atlantico. Non si può scherzare: o si sta di qua, o si sta di là. Questo, naturalmente, non vuol dire perdere il proprio spirito critico. Al contrario, la capacità di individuare errori e contraddizioni, di stare con la schiena dritta nel proprio schieramento, è massimamente necessaria: per dignità intellettuale e per non essere mai e in nessun caso scioccamente gregari. In particolare, ogni persona saggia si rende conto di come vada evitato il rischio di estendere il conflitto, di internazionalizzarlo, di trasformarlo in una sfida definitiva ed esistenziale tra la Nato e Mosca. Ma non sono ammesse posture «terze». Il secondo elemento - altrettanto rilevante - è quello economico, e purtroppo viene spesso incredibilmente sottovalutato proprio da chi è più sensibile al punto appena analizzato. Ma come si fa a chiudere gli occhi davanti all’evidenza di costi economici e sociali pazzeschi in Europa? La retorica che già circola (sacrifichiamoci, abbassiamo il termostato, eccetera) fa cadere le braccia: non solo per la sua inconsistenza (qualcuno pensa seriamente che abbassare i caloriferi in casa risolva il problema dell’ap p rov v i g io - namento energetico?) ma soprattutto perché è letteralmente folle pensare di chiedere all’elettorato europeo solo sacrifici. Chi lo fa mette a rischio proprio il primo punto del nostro ragionamento, e cioè l’esigenza di convincere le persone verso una chiara scelta di campo occidentale. Sfidare le opinioni pubbliche interne (dopo due anni di pandemia, con i consumi già rattrappiti, con il sistema delle piccole e medie imprese già squassato) imponendo costi inaccettabili è politicamente cieco, e aprirà inevitabilmente la strada a forze antisistema estreme. È paradossale che non lo capiscano proprio quegli osservatori che ci hanno ammorbato per anni contro il «populismo»: peccato che ora, forse senza rendersene conto, rischino di esserne un fattore di potente e incontrollato rilancio. Tutto ciò deve in primo luogo essere compreso dai nostri amici americani. Vale per l’energia: cosa ci propongono - e soprattutto a che prezzo - per il loro shale gas e le loro risorse? Vale per gli scambi commerciali tra Usa e Ue, e vale per misure eccezionali di sollievo economico da garantire a noi. Per carità: ci sono cose che possiamo fare da soli, in primo luogo rimettere in agenda quei poderosi tagli di tasse che sono l’unica strada per lasciare più soldi in tasca alle famiglie e alle imprese. Ma se gli Stati Uniti vogliono alleati compatti e solidali, non possono pensare di lasciare solo sui paesi europei i costi (energetici ed economici) del terribile dopoguerra che si prepara. Il terzo e ultimo punto è geopolitico, guardando tutta intera la carta geografica. L’Occidente rischia di perdere per strada interlocutori di cui ha maledettamente bisogno. Questa settimana i vertici dell’Arabia Saudita non hanno risposto al telefono a Jo e B id e n : l’a m m i n i s tra z io n e democratica (diversamente da quanto era avvenuto con Donald Trump) non sta aiutando Riad rispetto alla vicenda dello Yemen, e semmai sta provocando l’Arabia Saudita attraverso una nuova intesa con l’Iran. Su un piano diverso, non è sfuggito a nessuno il voto di astensione all’Onu dell’India, sempre più oscillante e «terza». Sarebbe autolesionistico fare regali strategici a Pechino: trasformando Xi J i n pi n g da pericolo (quale è) in risolutore delle controversie internazionali (come desidera presentarsi). Urgono leader politici e osservatori autorevoli capaci di tenere insieme tutti e tre questi elementi. La posta in palio è decisiva: non ci si può permettere di sbagliare.

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