STUPIDA RAZZA

giovedì 3 marzo 2022

Crolla l’export di petrolio dalla Russia Brent oltre 110 dollari, gas a nuovi record

 

Le forniture di materie prime dalla Russia sono già in buona parte perdute, nel caso del petrolio con un crollo stimato delle esportazioni addirittura del 70% che ha preso in contropiede il mercato, visto che i prodotti energetici per ora non sono colpiti direttamente da sanzioni, e che ha fatto volare le quotazioni del barile oltre 110 dollari, mentre in Europa – ad aggravare la crisi energetica – i prezzi del gas e del carbone salivano al record storico. Nel breve termine è difficile intravvedere un sollievo, salvo forse dal ritorno del petrolio iraniano, ammesso che la revoca delle sanzioni contro Teheran sia davvero vicina. La vendita di riserve strategiche annunciata martedì dall’Aie è poca cosa rispetto all’attuale mancanza di barili russi e l’Opec+, riunitasi ieri pomeriggio per soli dieci minuti, ha ratificato come da attese il “solito” aumento di produzione: la coalizione – di cui Mosca è una colonna portante, accanto ai sauditi – ha aumentato le quote di 400mila barili al giorno anche per il mese di aprile, senza alcuno sforzo supplementare rispetto ai mesi passati, quando in pochi si aspettavano una vera e propria guerra in Ucraina. A far precipitare la situazione sul fronte degli approvvigionamenti – più ancora delle bombe e delle sanzioni – è stata la logistica, che non si è mai ripresa del tutto dall’effetto Covid e si rivela di nuovo come l’anello più debole: un numero crescente di compagnie di navigazione – sulla scia di colossi come Maersk ed Msc – sta cancellando la Russia dalle proprie rotte, salvo che per trasporti umanitari come quelli di medicinali, mentre Gran Bretagna e Canada hanno chiuso i porti alle navi russe, misura che anche altri Governi stanno valutando. Le ricadute sono pesanti e riguardano merci e materie prime di ogni genere. E poi c’è l’aspetto finanziario: banche e compagnie assicurative di tutto il mondo, persino in Cina, si tengono lontane dalle transazioni commerciali con Mosca, che ora è diventata davvero un «paria economico e finanziario globale», come minacciava la Casa Bianca. Non si salva nulla. Le spedizioni dal Mar Nero, teatro di guerra, sono ferme da giorni con un forte impatto soprattutto sui cereali. Adesso si riducono anche i carichi da luoghi lontani dalle operazioni militari. E frena ogni genere di esportazione. Arrivano anche meno metalli, per alcuni dei quali – come alluminio, nickel e palladio – abbiamo un alto grado di dipendenza da Mosca. Persino sul gas, che pure continua a scorrere, Bloomberg riferisce voci secondo cui alcuni operatori starebbero rinunciando a forniture da Gazprom (gli acquisti di Gnl russo si sono già rarefatti). I prezzi così continuano a correre. Il gas ieri ha registrato rialzi fino al 60% segnando un nuovo record a 185 euro per Megawattora al Ttf. Sono ai massimi storici anche i prezzi del carbone, altro combustibile che proviene in grandi quantità dalla Russia, del grano – con un picco di 390 euro per tonnellata a Parigi – e dell’alluminio, che a Londra ha toccato quota 3.597 $/tonnellata, mentre il nickel saliva a 26.505 $ per la prima volta dal 2011. Per i metalli non siamo ancora alla paralisi. Sembra ad esempio che Norilsk continui a servire i clienti con regolarità. Severstal ha invece annunciato proprio ieri che smetterà di vendere acciaio ai clienti europei dopo che la Ue ha imposto sanzioni contro il suo maggiore azionista, il magnate Alexei Mordashov. Ma a colpire, in una giornata convulsa sui mercati, è stata soprattutto la repentina fermata dell’export di petrolio dalla Russia: Paese responsabile del 10% della produzione mondiale, con oltre 10 milioni di barili al giorno, che per metà venivano venduti all’estero. Nulla vieta di comprare greggio da Mosca. Eppure, nonostante venga offerto a prezzi super scontati (per l’Ural quasi 20 dollari al barile meno del Brent) quasi nessuno vuole – o riesce – più ad ottenerlo. In Occidente così come in Asia. I barili russi scottano. Le banche sono riluttanti a concedere lettere di credito e a intermediare i pagamenti, inoltre è diventato molto difficile – oltre che costosissimo – trasportarli. Il risultato è che «circa il 70% degli scambi di greggio russo oggi sono congelati», stima Energy Aspects. «Sul mercato sono rimasti solo pochi raffinatori europei e qualche società di trading». Shell ha in seguito precisato che continua a movimentare combustibili russi, ma senza riuscire a rassicurare il mercato. Un trader sentito dal Sole 24 Ore riferisce di un’asta di Surgutneftegas per otto carichi di greggio russo che ieri è andata deserta. Eppure la sete di rifornimenti non manca: i consumi sono tornati ai livelli pre Covid in gran parte del mondo e le scorte petrolifere nei Paesi Ocse sono ai minimi da 7 anni.

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