STUPIDA RAZZA

lunedì 7 marzo 2022

«Fino al 2026 Bruxelles deciderà tutte le nostre scelte economiche»

Onorevole Paolo Borchia, eurodeputato della Lega, ormai si sono accorti tutti che il Piano nazionale di ripresa e resilienza non sarà un «pranzo di gala». «Premessa doverosa: il primo cenno di vita dello strumento europeo che avrebbe dovuto portarci fuori dalla pandemia è arrivato un anno e mezzo dopo lo scoppio della stessa. Mi riferisco alla prima rata arrivata ad agosto, aspetto che testimonia quanto sia legnosa l’architettura comunitaria, in particolare nelle risposte alle emergenze. Per il resto, mantengo il mio scetticismo sull’impianto di Next generation, assurdo indebitarsi a questi livelli e non avere voce in capitolo sulle scelte di impiego di risorse finanziarie così ingenti. L’approccio calato dall’alto ha fallito ma continua a essere riproposto imperte r r i to » . Quanto detto da Ursula von der Leyen in conferenza stampa nel dare il primo via libera ai 21 miliardi di aiuti dall’Ue testimoniano, se possibile, un rafforzamento del vincolo e s te r n o. «Politicamente, questo è un rischio tangibile. Stiamo attraversando una fase di relativa tranquillità nelle relazioni tra il governo italiano e la Commissione europea ma di fatto la politica economica del Paese sarà commissariata fino al 2026. Se l’anno prossimo dalle urne scaturirà un governo in linea con Bruxelles continuerà questo equilibrio artefatto, se si profilasse un governo in grado di alzare la testa, invece, ricordiamo che il coltello dalla parte del manico lo impugna la Commissione. Il vincolo esterno, operativamente, indebolisce gli investimenti, visto che le priorità non vengono determinate dalle necessità dei territori ma da quanto stabilito dall’eu robu ro c ra z i a » . Paradossalmente non risulta ancora del tutto chiaro il modo in cui la Ue restituirà le obbligazioni immesse sul mercato. Come giudica questo r i ta rd o? «La Commissione tarda a presentare il piano, questo è vero. Ma il problema non si pone. La copertura è data dallo 0,6% del pil che ciascuno Stato ha messo a garanzia. Quindi i mercati si fidano. Sanno che i soldi ci sono. Manca sapere chi e come li verserà. Scusate se è poco». Per adesso l’unica cosa certa è che la Commissione si è arrogata il diritto di aumentare il contributo degli Stati membri al 2% fino al 2058. E se in fondo tutta la questione si risolvesse con una enorme partita di giro? «Purtroppo non è stata la Commissione ad arrogarsi questo diritto, ma sono gli Stati membri che l’hanno consentito, le risorse proprie rappresentano una delle poche materie per cui è necessaria l’una - nimità. Il Recovery è uno strumento che mutua quanto succede normalmente con il bilancio Ue: semplificando, l’Ita - lia mette i soldi e ne riceve indietro una parte con parecchi vincoli di utilizzo. L’unica differenza, non di poco conto, è che sul bilancio annuale standard noi eravamo tradizionalmente contributori netti, quindi in perdita. Sul Recovery, invece, siamo i primi beneficiari se sommiamo prestiti e sovvenzioni, secondi se prendiamo in considerazione solo le sovvenzioni. Ma non è tutto oro quel che luccica». Perfino nel 2020, con la pandemia, ci è toccato staccare un assegno record. Gli ultrà d el l ’europeismo dicono che i benefici indiretti di partecipare all’Ue superano di gran lunga il deficit nei contributi. «Se ci limitiamo a un’analisi sui saldi, a partire da metà anni Novanta abbiamo sempre avuto la peggio e, post Brexit, risultiamo i terzi contributori netti dopo Germania e Francia. Con la pressione fiscale cui sono sottoposte imprese e lavoratori, aggiungere un aggravio risulta difficile da spiegare all’opinione pubblica. La filosofia del bilancio comunitario dovrebbe operare un’inversio - ne a “U”, sostenendo l’econo - mia reale ed evitando di sperperare miliardi su azioni puramente teoriche. Anche se non si tratta di bilancio, un esempio sintomatico è rappresentato dal 37% del Next generation dedicato a priorità ambientali: stessa percentuale, per tutti i Paesi. Possibile che tutti abbiano le stesse esigenze e in egual misura?». Nel futuro quanto inciderà l’Italia ai tavoli europei? «Non sono ottimista sull’au - mento del peso specifico del nostro Paese. Tendenzialmente, la sinistra ha sempre subito in maniera passiva gli interessi dell’asse franco-tedesco, mascherando un approccio rinunciatario con un europeismo di facciata. La chiave di PRE SSIONI Paolo Borchia, parlamentare europeo della Lega volta, in caso di futuro governo di centrodestra, sarà capire come far coesistere politiche improntate sulla difesa dell’in - teresse nazionale con i diktat in arrivo da Bruxelles, cui sarà necessario ottemperare per continuare a ottenere l’eroga - zione delle rate del Ngeu. Una pistola puntata alla tempia, a tutti gli effetti». La ripresa promessa dal Next generation Ue è messa a rischio dalla guerra alle porte del l’Europa. Siamo pronti a fronteggiare una nuova crisi dopo la pandemia? «Le nostre imprese sono state commoventi, ai limiti dell’eroismo. Dopo la pandemia, le chiusure, la crisi e l’esplosione della spirale inflattiva, non credo possiamo chiedere loro un altro miracolo. Apriamo gli occhi: da due anni credo sia chiaro si sia aperta una fase che ha messo a nudo tutti gli errori del passato, dall’eccessiva tassazione del costo del lavoro fino alle delocalizzazioni, senza dimenticare la fallimentare politica energetica che ci ha consegnato alla dipendenza dal gas russo e ci relegherà alla dipendenza da materie prime e tecnologie cinesi per quanto riguarda la transizione ecologica». Bruxelles, intanto, si ostina a puntare tutto sulla transizione energetica. È la strada g iu s ta? «Assolutamente no. Giusto pensare al pianeta, decarbonizzare, aumentare l’ut i l i z zo delle rinnovabili nel mix energetico di ogni Stato. Però stiamo parlando di fonti che presentano dei limiti». Che ricetta propone, in pochi punti? «Primo: sovranità energetica per affrancarsi dalla dipendenza dai regimi che utilizzano energia e tecnologia per imporre logiche politiche. Secondo: puntare sulla produzione domestica di gas. Terzo: semplificare le procedure sulle rinnovabili. Quarto e ultimo: basta tabù sul nucleare. Senza autonomia energetica è impensabile essere competitivi con le economie similari alla nostra. E la storia lo dovrebbe i n s eg n a re » .


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