Onorevole Paolo Borchia,
eurodeputato della Lega, ormai si sono accorti tutti che il
Piano nazionale di ripresa e
resilienza non sarà un «pranzo di gala».
«Premessa doverosa: il primo cenno di vita dello strumento europeo che avrebbe
dovuto portarci fuori dalla
pandemia è arrivato un anno e
mezzo dopo lo scoppio della
stessa. Mi riferisco alla prima
rata arrivata ad agosto, aspetto
che testimonia quanto sia legnosa l’architettura comunitaria, in particolare nelle risposte alle emergenze. Per il
resto, mantengo il mio scetticismo sull’impianto di Next
generation, assurdo indebitarsi a questi livelli e non avere
voce in capitolo sulle scelte di
impiego di risorse finanziarie
così ingenti. L’approccio calato dall’alto ha fallito ma continua a essere riproposto imperte r r i to » .
Quanto detto da Ursula von
der Leyen in conferenza stampa nel dare il primo via libera
ai 21 miliardi di aiuti dall’Ue
testimoniano, se possibile, un
rafforzamento del vincolo
e s te r n o.
«Politicamente, questo è un
rischio tangibile. Stiamo attraversando una fase di relativa
tranquillità nelle relazioni tra
il governo italiano e la Commissione europea ma di fatto
la politica economica del Paese sarà commissariata fino al
2026. Se l’anno prossimo dalle
urne scaturirà un governo in
linea con Bruxelles continuerà
questo equilibrio artefatto, se
si profilasse un governo in grado di alzare la testa, invece, ricordiamo che il coltello dalla
parte del manico lo impugna la
Commissione. Il vincolo esterno, operativamente, indebolisce gli investimenti, visto che
le priorità non vengono determinate dalle necessità dei territori ma da quanto stabilito
dall’eu robu ro c ra z i a » .
Paradossalmente non risulta ancora del tutto chiaro il
modo in cui la Ue restituirà le
obbligazioni immesse sul
mercato. Come giudica questo
r i ta rd o?
«La Commissione tarda a
presentare il piano, questo è
vero. Ma il problema non si pone. La copertura è data dallo
0,6% del pil che ciascuno Stato
ha messo a garanzia. Quindi i
mercati si fidano. Sanno che i
soldi ci sono. Manca sapere chi
e come li verserà. Scusate se è
poco».
Per adesso l’unica cosa certa è che la Commissione si è
arrogata il diritto di aumentare il contributo degli Stati
membri al 2% fino al 2058. E se
in fondo tutta la questione si
risolvesse con una enorme
partita di giro?
«Purtroppo non è stata la
Commissione ad arrogarsi
questo diritto, ma sono gli Stati membri che l’hanno consentito, le risorse proprie rappresentano una delle poche materie per cui è necessaria l’una -
nimità. Il Recovery è uno strumento che mutua quanto succede normalmente con il bilancio Ue: semplificando, l’Ita -
lia mette i soldi e ne riceve indietro una parte con parecchi
vincoli di utilizzo. L’unica differenza, non di poco conto, è
che sul bilancio annuale standard noi eravamo tradizionalmente contributori netti,
quindi in perdita. Sul Recovery, invece, siamo i primi beneficiari se sommiamo prestiti e
sovvenzioni, secondi se prendiamo in considerazione solo
le sovvenzioni. Ma non è tutto
oro quel che luccica».
Perfino nel 2020, con la
pandemia, ci è toccato staccare un assegno record. Gli ultrà
d el l ’europeismo dicono che i
benefici indiretti di partecipare all’Ue superano di gran
lunga il deficit nei contributi.
«Se ci limitiamo a un’analisi
sui saldi, a partire da metà anni Novanta abbiamo sempre
avuto la peggio e, post Brexit,
risultiamo i terzi contributori
netti dopo Germania e Francia. Con la pressione fiscale cui
sono sottoposte imprese e lavoratori, aggiungere un aggravio risulta difficile da spiegare
all’opinione pubblica. La filosofia del bilancio comunitario
dovrebbe operare un’inversio -
ne a “U”, sostenendo l’econo -
mia reale ed evitando di sperperare miliardi su azioni puramente teoriche. Anche se non
si tratta di bilancio, un esempio sintomatico è rappresentato dal 37% del Next generation dedicato a priorità ambientali: stessa percentuale,
per tutti i Paesi. Possibile che
tutti abbiano le stesse esigenze
e in egual misura?».
Nel futuro quanto inciderà
l’Italia ai tavoli europei?
«Non sono ottimista sull’au -
mento del peso specifico del
nostro Paese. Tendenzialmente, la sinistra ha sempre subito
in maniera passiva gli interessi
dell’asse franco-tedesco, mascherando un approccio rinunciatario con un europeismo di facciata. La chiave di
PRE SSIONI Paolo Borchia, parlamentare europeo della Lega
volta, in caso di futuro governo
di centrodestra, sarà capire
come far coesistere politiche
improntate sulla difesa dell’in -
teresse nazionale con i diktat
in arrivo da Bruxelles, cui sarà
necessario ottemperare per
continuare a ottenere l’eroga -
zione delle rate del Ngeu. Una
pistola puntata alla tempia, a
tutti gli effetti».
La ripresa promessa dal Next generation Ue è messa a rischio dalla guerra alle porte
del l’Europa. Siamo pronti a
fronteggiare una nuova crisi
dopo la pandemia?
«Le nostre imprese sono
state commoventi, ai limiti
dell’eroismo. Dopo la pandemia, le chiusure, la crisi e l’esplosione della spirale inflattiva, non credo possiamo chiedere loro un altro miracolo.
Apriamo gli occhi: da due anni
credo sia chiaro si sia aperta
una fase che ha messo a nudo
tutti gli errori del passato, dall’eccessiva tassazione del costo del lavoro fino alle delocalizzazioni, senza dimenticare
la fallimentare politica energetica che ci ha consegnato alla
dipendenza dal gas russo e ci
relegherà alla dipendenza da
materie prime e tecnologie cinesi per quanto riguarda la
transizione ecologica».
Bruxelles, intanto, si ostina
a puntare tutto sulla transizione energetica. È la strada
g iu s ta?
«Assolutamente no. Giusto
pensare al pianeta, decarbonizzare, aumentare l’ut i l i z zo
delle rinnovabili nel mix energetico di ogni Stato. Però stiamo parlando di fonti che presentano dei limiti».
Che ricetta propone, in pochi punti?
«Primo: sovranità energetica per affrancarsi dalla dipendenza dai regimi che utilizzano energia e tecnologia per imporre logiche politiche. Secondo: puntare sulla produzione domestica di gas. Terzo:
semplificare le procedure sulle rinnovabili. Quarto e ultimo: basta tabù sul nucleare.
Senza autonomia energetica è
impensabile essere competitivi con le economie similari alla
nostra. E la storia lo dovrebbe
i n s eg n a re » .
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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