STUPIDA RAZZA

mercoledì 16 marzo 2022

Monito degli Usa alla Cina: nessun sostegno militare alla Russia

 

Emissari di Washington e Pechino si sono incontrati ieri a Roma per discutere la guerra in Ucraina, proprio nelle ore in cui gli Stati Uniti informavano gli alleati della Nato che la Cina - pur preparandosi probabilmente a smentirlo - si sarebbe mostrata disponibile di fronte alla richiesta russa di un sostegno militare ed economico. Lo ha dichiarato in forma anonima un funzionario americano: notizia descritta come «disinformazione» dal ministero degli Esteri cinese, e smentita dai russi, che affermano di avere le risorse sufficienti a raggiungere gli obiettivi che si sono posti in Ucraina. E tuttavia la Casa Bianca intende «mantenere aperte le linee di comunicazione con la Cina». Lo ha fatto sapere a conclusione dell’incontro di Roma, dove il consigliere americano per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan, si è confrontato per circa otto ore con il principale consigliere diplomatico cinese, Yang Jiechi. Un vertice che si è svolto in due round in una sala sotterranea dell’hotel Cavalieri Waldorf Astoria di Roma, zona Monte Mario (ieri mattina l’area era blindata per le misure di sicurezza), e in cui sono state affrontate più questioni bilaterali Cina-Usa, concentrandosi in particolare sulla guerra russa contro l’Ucraina. In serata Yang Jiechi ha affermato che la Cina è impegnata a promuovere negoziati di pace per l’Ucraina. Ristrette le delegazioni, tre per parte, tavolo largo e sgombro (ma senza le distanze siderali del Cremlino cui ha abituato Putin) e le due bandiere sullo sfondo. Nelle stesse ore, secondo fonti citate dalla Cnn, emergeva la notizia che la Casa Bianca starebbe valutando la possibilità di una missione del presidente Joe Biden in Europa, a breve. Dal giorno dell’attacco russo all’Ucraina, il 24 febbraio scorso, oltre a Sullivan sono venuti in missione in Europa diversi alti esponenti dell’amministrazione, compresa la vice presidente Kamala Harris e il segretario di Stato, Antony Blinken. Il tema centrale dell’incontro è stato la posizione di Pechino sulla guerra, anche se il Cremlino nega di aver richiesto in aiuto equipaggiamenti militari cinesi. L’amministrazione Biden è sempre più preoccupata dalla possibilità che la Cina usi la guerra in Ucraina per promuovere l’interesse a lungo termine di Pechino nella sua competizione con gli Stati Uniti. Sullivan ha certamente cercato di utilizzare l’incontro per ottenere chiarezza, e avvertire i cinesi  delle serie conseguenze che avrebbe un’assistenza alla Russia. Due giorni fa l’ambasciata cinese negli Stati Uniti aveva affermato di non essere a conoscenza di nessuna richiesta russa o di risposte da parte di Pechino. Prima di partire per Roma Sullivan aveva però ribadito l’intenzione di fare in modo che «né la Cina né nessun altro possa compensare le perdite che sta affrontando la Russia». Fonti diplomatiche affermano che la presenza di un alto esponente della nomenklatura cinese all’incontro di Roma segnali una disponibilità al confronto con gli Usa. Yang Jiechi, fedelissimo di Xi Jinping, era ambasciatore negli Stati Uniti in Usa l’11 settembre 2001, poi ministro degli Esteri e dal 2017 uno dei 25 membri del Politburo (che ha tuttavia un livello ancora più ristretto, a sette), e quindi capo della Commissione Affari esteri del Pcc. Non solo: accettare come sede dell’incontro Roma – capitale di un Paese Nato anche se in questa partita decisamente più defilata di Parigi e Berlino, con gli Usa quindi a “giocare in casa” - è stato un ulteriore messaggio di apertura, e un segnale a Mosca. Se Pechino ha inviato un esponente di grande autorevolezza, anche gli americani hanno schierano un pezzo da novanta, nonostante la giovane età, 45 anni: Sullivan (cattolico irlandese, come il presidente) è molto vicino a Biden e ha alle spalle una scalata irresistibile con i Clinton. Condivide con il segretario di Stato Antony Blinken i dossier più delicati. Sul fronte diplomatico russoucraino, il quarto round di negoziati in collegamento video si è concluso ieri con quella che Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, ha definito «una pausa tecnica». I colloqui riprenderanno oggi: nel fine settimana entrambe le parti avevano espresso un cauto ottimismo sulla possibilità di un avvicinamento delle posizioni. In particolare, Podolyak aveva detto che i russi avevano «ascoltato attentamente le nostre proposte, e stanno iniziando a parlare in modo costruttivo. Penso che otterremo dei risultati letteralmente nel giro di qualche giorno». Le richieste ucraine partono dal cessate il fuoco e dal ritiro immediato delle truppe russe. Da parte sua anche uno dei negoziatori di Mosca, Leonid Slutskij, aveva parlato di «progressi significativi» e della possibilità di arrivare in tempi brevi a un qualche documento congiunto. Un filo di speranza che non sembra ritrovarsi a livelli più alti: Dmitrij Peskov, portavoce del Cremlino, ha parlato di un’operazione «che sta proseguendo secondo i piani e che sarà completata», senza escludere la possibilità di prendere il pieno controllo delle città. Nello stesso tempo, Mosca affila le armi anche sul fronte economico: oltre al blocco dell’export di grano (vedi pagina 4) e all’intenzione di nazionalizzare le proprietà delle compagnie straniere che stanno lasciando il Paese, si pensa a una conversione in yuan delle riserve in oro e valuta rimaste accessibili. Riguardo a un contatto tra Vladimir Putin e Zelenskyj, che lo ha sollecitato più volte, Peskov ha detto che non sono arrivate a Mosca richieste in questo senso da Kiev. Né, ha aggiunto, è in corso alcuna discussione sulla possibilità di un summit tra Biden e Putin. Zelenskyj invece si prepara a rivolgersi domani al Congresso americano.

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