STUPIDA RAZZA

sabato 2 aprile 2022

Biden sblocca riserve strategiche di petrolio

 

Joe Biden scatta all’offensiva per rispondere all’allarme materie prime causato dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e da sanzioni e embarghi contro Mosca. Ha aperto i rubinetti della Riserva strategica americana di greggio, annunciando il rilascio record di 180 milioni di barili, al ritmo di un milione al giorno per sei mesi consecutivi. Un intervento aggressivo e senza precedenti di Washington sui mercati petroliferi, quadruplo rispetto a precedenti massimi. E una risposta alle nazioni legate all’Opec, inchiodate a modesti incrementi della produzione. Non solo: Biden ha proposto di penalizzare le compagnie petrolifere che negli stessi Stati Uniti non facciano abbastanza per estrarre oro nero. L’obiettivo esplicito è calmierare la spirale nei prezzi del carburante che oggi pesa sui consumatori come sulla popolarità del Presidente: il costo medio della benzina alla pompa nel Paese, ha ammesso la Casa Bianca, è salito di un dollaro al gallone da inizio anno, a 4,20 dollari, con picchi spesso significativamente superiori. In prospettiva, la meta che ha enunciato è l’indipendenza energetica. Immediato invece è stato il ribasso del barile: il Wti è sceso di quasi il 7% verso quota 100 dollari al barile e il Brent circa il 6% a 105 dollari. Biden ha anche invocato, con un ordine esecutivo, il Defense Production Act , per affrontare un’altra, parallela sfida: la necessità di stimolare la produzione domestica di minerali, cruciali alla conquista della frontiera della transizione energetica e nei trasporti, quali il litio. La missione è qui ridurre, oggi e domani, la vulnerabilità e dipendenza dall’estero di catene di forniture per energia pulita e settore high-tech, a cominciare dalle batterie per veicoli elettrici. Più in dettaglio sul petrolio, per contrastare quello che ha denunciato come il «rincaro di Vladimir Putin»,Biden ha annunciato un progetto in due parti. Ci sarà l’immissione dei 180 milioni di barili prelevati dalle riserve e coordinata con partner e alleati. Una «misura-ponte in tempi di guerra», ha asserito, in attesa di accelerazioni della produzione interna di greggio a fine anno. Al momento la Casa Bianca stima che gli Usa, già nel 2022, estrarranno un milione in più di barili al giorno e altri 700mila barili si aggiungeranno nel 2023. I ricavi generati dal ricorso alle riserve, ora di 568 milioni di barili, serviranno poi a ricostituirle. Ma l’amministrazione crede che l’industria possa e debba fare di più negli Stati Uniti, pur già il maggior produttore di petrolio al mondo e esportatore netto di energia. E critica le «troppe compagnie petrolifere» che «preferiscono profitti straordinari a investimenti che aiutino le forniture». Utili che spingono Biden a dire: «Basta». Per sollecitare la produzione interna propone così al Congresso l’imposizione di veri e propri dazi a carico delle aziende sia per permessi di trivellazione non utilizzati su terreni federali (novemila) che per pozzi non sfruttati (lungo sei milioni di ettari non produttivi). Pur dando fiato al fossile, il presidente ha voluto riaffermare le ambizioni su fonti rinnovabili e pulite. Auspica che il Congresso passi i suoi piani, da mesi arenati, di transizione energetica. Soprattutto, in questa chiave vede ora il Defense Production Act. L’atto risale al 1950, alla guerra di Corea, e autorizza la Casa Bianca a creare, espandere o preservare capacità manifatturiere per risorse industriali, tecnologiche e materiali a fini di sicurezza nazionale. Era già stato sfoderato da Biden e da Donald Trump per farmaci e tecnologie protettive contro la pandemia. Questa volta in gioco sono minerali che, con il litio, comprendono nickel, cobalto, grafite e manganese. I produttori accederanno inizialmente a speciali fondi governativi per studi di fattibilità e produttività. Il comparto minerario, che si batte per nuove miniere e impianti di trattamento dei minerali, ha applaudito.

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