STUPIDA RAZZA

martedì 26 aprile 2022

Con altri tre mesi di guerra Pil italiano giù di 50 miliardi

 

L’invasione russa in Ucraina ha già sottratto l’1,1% di crescita fra quest’anno (-0,9%) e il prossimo (-0,2%). Ma altri tre mesi di guerra taglierebbero le stime di un altro 1,1% nel 2022 e di uno 0,4% ulteriore nel 2023. Portando il conto totale del conflitto a una perdita di circa 50 miliardi di euro di prodotto in due anni, per tre quarti (circa 38 miliardi, per proseguire il calcolo in valore assoluto) concentrata nel 2022. Sempre che non accada di peggio. La misura del colpo portato dal conflitto alla crescita nel confronto con il sentiero che sarebbe stato imboccato in tempo di pace arriva dalla Nota congiunturale pubblicata ieri dall’Ufficio parlamentare di bilancio. I conti, come annunciato dallUfficio nell’audizione sul Def alle commissioni Bilancio di Camera e Senato la scorsa settimana, dettagliano i «rischi al ribasso sulla crescita e al rialzo sull’inflazione» (DETTA STAGFLAZIONE QUELLA CHE LA BCE NON VEDE !) che pesano sulle prospettive di economia e bilancio pubblico, avvolte in «tantissima incertezza» come riconosciuto anche dal ministro dell’Economia Daniele Franco nella conferenza stampa di giovedì sera al termine del G20. Per tentare la traduzione in cifre del freno tirato alla crescita dall’invasione russa in Ucraina l’Autorità parlamentare dei conti utilizza il modello macroeconometrico di Oxford Economics, voce autorevole nel panorama globale delle stime economiche entrata nei mesi scorsi nel panel dei previsori impiegato dall’Upb per la validazione dei programmi governativi di finanza pubblica. L’esercizio riassunto nella Nota diffusa ieri è duplice: perché calcola gli effetti già acquisiti fin qui per la decisione di Putin di muovere i carri armati contro Kiev, ma prova anche a misurare il costo in termini di prodotto di una guerra che prosegua per altri tre mesi, coprendo tutta la primavera e rimandando al secondo semestre dell’anno l’avvio del percorso di graduale normalizzazione dello scenario. In entrambi i casi, l’Italia emerge come paese decisamente più esposto rispetto alla media di un’Eurozona che a sua volta paga al conflitto un prezzo più alto rispetto alle altre macro-aree. Al mondo la guerra in Ucraina è costata secondo questi calcoli tre decimali di crescita per quest’anno e altrettanti per il prossimo. Nell’area Euro il termometro 2022 scende invece di sei decimali, che diventano nove in Italia dove si sconterebbe anche un -0,2% già acquisito per il prossimo anno. Speculare il quadro dell’inflazione: per mondo ed Eurozona si calcola un aumento già acquisito dello 0,9% (e dello 0,1%-0,2% sul 2023; il confronto è sempre quello con un mondo senza conflitto russo-ucraino), in Italia invece il salto già incamerato è indicato nell’1,2% (con un altro +0,2% l’anno prossimo). Ma le cifre più preoccupanti, e realistiche visto lo stallo sostanziale di qualsiasi ipotesi di negoziato effettivo, nascono dal fatto che al contrario delle previsioni iniziali la guerra non si è chiusa nell’arco di poche settimane, e minaccia al momento una durata indefinita. Con altri tre mesi armi in pugno, la riduzione del prodotto rispetto allo scenario di pace sale drasticamente: e arriva a livello globale a un punto di Pil quest’anno e a 0,4 il prossimo, si attesa all’1,6% nel 2022 e allo 0,4% nel 2023 per l’Eurozona e raggiunge in Italia il 2% quest’anno e lo 0,6% il prossimo. Il primato italiano rispetto alla media dell’Eurozona si spiega con la maggiore rapidità di traslazione sui prezzi al consumo dell’impennata dei costi delle materie prime (non solo energia, ma anche metalli speciali come palladio, platino e nickel e beni alimentari come grano e mais) e con la fragilità degli indici di fiducia, già colpiti da un arretramento congiunturale del Pil nel primo trimestre dell’anno che anche l’Upb calcola intorno allo 0,5 per cento. Sono questi, insieme al livello degli scambi internazionali e al quadro dei mercati finanziari, i principali canali di trasmissione di un modello che però non considera altre variabili come le sanzioni o le eventuali interruzioni di filiere e importazioni energetiche. La loro esclusione dai calcoli dipende da ragioni metodologiche, perché la misurazione degli impatti diventerebbe troppo aleatoria: ma rischia di produrre numeri che saranno superati ulteriormente al ribasso dall’evoluzione reale. In Germania, paese che condivide con l’Italia il primato continentale della dipendenza dall’energia russa, la Bundesbank ha detto ieri che lo stop alle forniture costerebbe 5 punti di Pil tedesco: 180 miliardi (si veda l’articolo a pag. 2).

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