«Chi vota Le Pen vota Putin». No, non è Emmanuel Macron a lanciare nell’arena il teorema incendiario. A farlo con chiarezza lapidaria è un rumeno, Siegfried Muresan, eurodeputato socialdemocratico, uno dei tanti spettatori interessati all’esito del duello francese che tiene l’Unione e il mondo con il fiato sospeso. Se il 24 febbraio 2022 l’invasione russa dell’Ucraina ha fatto saltare ordine e sicurezza europea del secondo dopoguerra, il 24 aprile prossimo deciderà il vincitore dell’Eliseo ma sarà anche il giorno del giudizio per l’Europa, la sua democrazia e la sostenibilità del futuro di entrambe. «Il nemico dell’Europa non è solo a Mosca ma anche a Parigi, è in tutti i progetti di estrema destra che minano le fondamenta della coesistenza», avverte il premier spagnolo Pedro Sanchez. Attende con i nervi scoperti, l’Unione, l’esito di una partita che la riguarda fin troppo da vicino in questi tempi di democrazie fragili, di autocrazie che sgomitano fuori e dentro casa. Il rapporto 2022 sulla democrazia nel mondo, appena pubblicato dall’Istituto V-Dem, la fotografa in discesa sui livelli del 1989, con le dittature che ormai controllano il 70% della popolazione globale (49% nel 2011) e le liberal-democrazie scese al 13% nell’ultimo decennio, da 42 a 34 paesi. Nell’Unione sono 6 su 27 quelli in deriva più o meno autoritaria: Polonia, Ungheria, Cechia, Croazia, Slovenia e la stessa Grecia. Oltre a Serbia e Turchia ai confini. Ai casi patologici di repressione della società civile, di indipendenza delle istituzioni, libertà di espressione, allergie al pluralismo politico, si aggiunge il mal sottile che consuma anche le democrazie ufficialmente più solide. Non c’è solo Viktor Orban a stravincere a Budapest e Aleksandar Vucic a Belgrado che festeggia accogliendo, primo paese dei Balcani, il sistema missilistico cinese HQ-22: entrambi leader ostentatamente putiniani, entrambi confermati con risultati record. Entrambi uomini dell’Est. C’è anche la collaudata democrazia francese nel cuore della vecchia Europa: al primo turno delle presidenziali gli estremismi di destra e sinistra hanno totalizzato insieme, mai accaduto nella storia repubblicana, il 56% dei voti contro il 39 del partito di Macron e povere schegge dei partiti tradizionali avviati, pare, all’estinzione. Certamente non è sola nei suoi tormenti, l’Italia fa parte del club, ma la Francia oggi è il paradigma di malanni e rischi esistenziali che scuotono istituzioni, modelli e scelte strategiche in tutta Europa. Sullo sfondo il travagliato confronto tra i pacati schemi liberali di Governo e civile convivenza e l’isterica democrazia degli aut-aut, delle contrapposizioni anti-sistema spesso più confuse che ragionate. Pro-Putin contro Putin, amici contro nemici degli ucraini, SìVax contro No-Vax, europeisti contro nazional-sovranisti, atlantisti contro autonomisti come ieri liberisti contro protezionisti, cibo Frankenstein contro bio, etc. etc. Fosse un derby. Invece è polarizzazione tossica fatta strategia politica attraverso la sistematica demonizzazione dell’interlocutore, la disinformazione a tappeto, il tramonto del pluralismo, pilastro di libertà e viver civile. Dietro l’involuzione, anche i fiumi di denaro con cui la Russia putiniana ha foraggiato negli anni partiti e movimenti negazionisti per fiaccare le democrazie europee. E non solo. Marine Le Pen e le sue truppe sono stati tra i tanti beneficiari. Come l’Afd in Germania. La Lega in Italia e i tanti altri movimenti anti-Ue e anti-sistema. Per questo la battaglia di Francia si intreccia inevitabilmente con la guerra ucraina e va ben oltre lo scontro Macron-Le Pen: è una battaglia europea dove l’Unione si gioca la permanenza o meno di Parigi tra le sue colonne portanti, il destino della sua democrazia e la tenuta del proprio futuro. Probabilmente Macron ce la farà a restare all’Eliseo scongiurando il terremoto della subdola Frexit predicata da Le Pen: niente divorzi eclatanti come gli inglesi ma un’uscita metodica dalle politiche comuni, agricola, energetica o industriale, in contrasto con l’interesse nazionale. In breve, fine del mercato unico. E dell’Unione. Per questo con la riconferma del presidente non spariranno d’incanto le tante ammaccature di una Francia che oggi appare un grande paese “separato in casa”, lacerato come altre democrazie mature da profonde fratture sociali, rancori tra chi ha troppo e chi troppo poco, vecchie e nuove generazioni, chi lavora e chi no, chi si integra nella società e chi rifiuta, chi è garantito e chi abbandonato a sé stesso. Non sarà facile curare la sindrome francese, specchio di quella europea, in un clima tanto divisivo con società contagiate dopo il Covid dal virus putinista, economie in frenata strapazzate dai contraccolpi di guerra e sanzioni, inflazione e perdita di potere di acquisto, crisi e rincari energetici, interruzione delle catene del valore e deglobalizzazione, aumento dei tassi di interessi e incerta sostenibilità dei debiti. Dalla nuova era di paure e insicurezze diffuse, esasperate da una guerra che, comunque andrà, cambierà i connotati dell’ordine continentale. Più durerà la tragedia ucraina e più precaria potrebbe diventare l’unità europea che finora ha tenuto contro l’aggressione russa. E contro i pronostici. Riusciranno i 27 a continuare a deludere le aspettative di Mosca? In questa crisi è in gioco l’identità europea: posta troppo alta per scherzarci sopra o, peggio, svenderla al miglior offerente.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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