STUPIDA RAZZA

lunedì 25 aprile 2022

Inflazione e debito, ecco perché le stime sono a rischio

 

L’inflazione è «amica» dei debitori. L’affermazione, riproposta ogni volta che la dinamica dei prezzi rialza la testa, ha certo un fondamento, a maggior ragione per chi è alle prese con finanze fortemente squilibrate come i governi. Non c’è dubbio infatti che il rapporto debito/Pil, uno dei parametri chiave della finanza pubblica, tenda a parità di altre condizioni a ridursi quando cresce il suo denominatore, il cui valore nominale viene anche «gonfiato» da un generale innalzamento del livello dei prezzi. Il problema è che non sempre un’inflazione più alta si traduce anche in un Pil nominale altrettanto più elevato e quello attuale, purtroppo, è uno dei casi che fa eccezione. «La natura dello shock inflattivo nell’Eurozona, attualmente in gran parte determinato da fattori esterni, implica che l’impatto sulle metriche delle finanze pubbliche sarà più tenue di quanto gli indici dei prezzi al consumo suggerirebbero», avverte Fitch Ratings, il cui parere è rilevante, perché anche su questa base assegna rating agli emittenti sovrani. La questione gira insomma tutta attorno all’origine dell’attuale impennata dei prezzi, che dipende sostanzialmente dal rincaro delle materie prime, è quindi «importata» e per questo ha un effetto più contenuto sul Pil nominale. Elemento chiave è quel «deflatore del Pil» che rappresenta una delle tante differenti misure della dinamica. «Rileva le variazioni dei prezzi percepiti dai produttori nazionali, catturando una gamma più ampia di attori economici, comprese le imprese, il settore pubblico e i clienti esteri, quando acquistano beni e servizi di produzione nazionale», spiega Fitch, prima di giungere al nocciolo della questione notando che «a differenza dell’indice dei prezzi al consumo, il deflatore del Pil elimina l’impatto diretto dell’aumento dei prezzi all’importazione», proprio quelli da cui oggi arriva la spinta maggiore. L’anno passato in Italia la «tradizionale» inflazione è stata in media dell’1,9% mentre il deflatore del Pil è aumentato dello 0,8%, ricorda l’agenzia di rating, avvertendo che «questa dinamica continuerà sostanzialmente nel 2022». Problema ulteriore è che le stime su questa componente sono ancora più incerte e le differenze possono influenzare in modo significativo le proiezioni di bilancio: i calcoli di Fitch suggeriscono che un deflatore del Pil più alto dell’1% si tradurrebbe a parità di condizioni in una riduzione di 1,4 punti del rapporto debito pubblico dell’Italia nel 2022. Il ragionamento vale anche al contrario, e questa purtroppo sembra essere la situazione attuale per il governo italiano. Il Def prevede che il debito/Pil diminuisca quest’anno al 147% anche grazie a una crescita nominale del 6,3% equamente divisa tra l’incremento reale ( 3,1%) e contributo del deflatore del Pil (3,2%). «Quest’ultimo valore rimane particolarmente incerto a causa dell’impatto dell’andamento dei prezzi dell’energia sulla dinamica dei prezzi import», avverte Loredana Federico di UniCredit, che anche per questo motivo (e non solo) proietta per fine 2022 il rapporto chiave per le finanze nazionali al 149%, un livello dunque superiore alle stime governative. L’inflazione «aiuta» sì, ma solo fino a un certo punto.

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