STUPIDA RAZZA

martedì 26 aprile 2022

Lo scopo degli Usa: «La Russia in ginocchio»

 

Finalmente gli americani parlano chiaro: vogliono mettere in ginocchio la Russia; esaurirne il potenziale bellico; renderla inoffensiva. Per il futuro dell’Europa, non è un programma rassicurante. Ma almeno, adesso scopriamo dov’è che Washington intende portare il confronto con Mosca, per interposti ucraini. Nella notte tra domenica e lunedì, gli Usa hanno assicurato a Volodymyr Zelensky « u n’assistenza senza precedenti». Antony Blinken e Llyod Austin, rispettivamente segretario di Stato e segretario alla Difesa, erano volati a Kiev per un incontro a porte chiuse con il presidente del Paese invaso. Tra Z el e n s ky e Joe Biden c’è stato anche uno scambio di cordialità su Twitter: «L’ami - cizia e la collaborazione tra gli Stati Uniti e l’Ucraina sono più forti che mai», ha cinguettato il primo, reduce dal vertice di tre ore con i messi a stelle e strisce. «Continueremo a sostenere gli ucraini nella loro lotta per difendere la patria», proclamava intanto l’i n qu i l i n o della Casa Bianca. La spedizione è stata soprattutto l’occasione per scoprire le carte sugli obiettivi degli Usa: «Noi», ha spiegato Au - s ti n , «vogliamo vedere la Russia indebolita a un livello tale che non possa più fare cose come l’invasione in Ucraina. Mosca», ha aggiunto il capo del Pentagono, «ha già perso molte delle sue capacità militari e molte truppe […] e noi non vorremmo che possa ricostruire rapidamente tali capacità». Ha rincarato la dose B l i n ke n : «Vediamo che la Russia non ha raggiunto gli obiettivi che si è posta. La strategia» occidentale, dunque, «è una massiccia pressione sulla Russia e un massiccio sostegno per l’Ucraina», che «può vincere» la guerra «se ha l’attrez zatu ra giusta». A questo servono i 700 milioni per le forniture belliche, più ulteriori 165 per munizionamento non Nato. Gli Stati Uniti hanno quindi escluso di attuare una nuova strategia del contenimento. Non sono previste concessioni territoriali allo zar, a fronte dell’inequivocabile individuazione di un perimetro che non gli sia più consentito oltrepassare. Il risultato cui ambiscono Oltreoceano è la sconfitta totale di Mosca, con la cacciata dell’Armata dal Donbass. Ovvio: il progetto implica la possibilità di scontri lunghi e cruenti - tanto, il sangue lo versano gli ucraini. Ma la prospettiva di un lento logoramento dei russi, tipo quello che, nel conflitto afgano del decennio 1979- 1989, fu provocato proprio dagli aiuti militari degli yankee ai mujaheddin, è ormai solo lo scenario subottimale. Capace, eventualmente, di innescare un cambio di regime al Cremlino; Vladimir Putinl’ha intuito e infatti lamenta: «L’O c c id e nte vuole distruggerci dall’inte rno». D’altra parte, come ha constato Au s ti n , le risorse degli invasori si sono già assottig l i ate. Secondo l’ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica italiana, Leonardo Tricarico, «i russi partivano in condizioni ampiamente inferiori alle valutazioni degli analisti. Ora sono in difficoltà soprattutto a livello di scorte di munizioni, missilistica e pezzi di ricambio. Hanno dimostrato di essere tecnologicamente all’avan - guardia, ma non hanno grande disponibilità di armamenti di precisione e la maggior parte dei mezzi utilizzati è logora. In fondo, basta guardare i bilanci della Difesa: loro spendono poco più del doppio di noi. E s’è visto che non sanno combattere: dovrebbero aggiornare completamente la dottrina e rigenerare le scorte». Un’im - presa che, sostiene il generale, «richiederebbe diversi lustri. Ecco perché bisognerebbe chiudere prima possibile le ostilità: Mosca non sarà più una minaccia per almeno una ventina d’anni». In parole povere: i desiderata del Pentagono sarebbero raggiunti anche se si accelerasse una tregua, lasciando a Puti n una via d’usci - ta onorevole. L’America, tuttavia, pretende di raggiungere uno scopo massimalista: la pace «cartaginese». Pertanto, inseguire B ide n è un azzardo, per il Vecchio continente. Trica r ic o qualifica la sua previsione sul tempo che impiegherebbe il Cremlino a rimettere in sesto l’Armata: decenni, «a meno che non si concentri esclusivamente su quello». Appunto. Stiamo dimenticando il passato: annichilire una grande potenza europea tende ad alimentarne i rigurgiti revanchisti. Il che non è un’idea brillante. Capitò nel 1919, con il trattato di Versailles: la Germania, persa la prima guerra mondiale, fu costretta a siglare un accordo che mirava a demolirla economicamente e militarmente. Invece, l’umi - liazione funse da propellente per il nazismo. E 19 anni dopo, la Germania di Adolf Hitler, industrialmente rivitalizzata e armata fino ai denti, invase la Cecoslovacchia. Alla conferenza del 1919 furono in pochi a intuire la devastazione che si stava preparando. Tra essi, John Maynard Keynes, che abbandonò l’incarico di delegato della Gran Bretagna e scrisse un pamphlet profetico, Le conseguenze economiche della pac e, in cui preconizzava i conflitti che quel trattato sciagurato avrebbe innescato. Il generale francese Ferdinand Foch ammise: «Non è pace. È un armistizio di vent’anni». Oggi, probabilmente, finirebbero entrambi nella lista dei «putiniani» di Gianni Riotta . Per gli Stati Uniti, la sfida esiziale con Mosca ha una sua logica: a meno che il nemico opti per la mutua distruzione nucleare, essi hanno molto da guadagnare. Possono eliminare un concorrente storico, nonché un ingombrante alleato dei veri rivali cinesi. Ai quali l’America sta offrendo un’esi - bizione muscolare, con un occhio a Taiwan. L’Europa, al contrario, ha di che essere preoccupata: per la sua economia, vulnerabile allo sconvolgimento del mercato energetico. E per la stabilità, visti i tragici precedenti. Sì: se la Russia affondasse, Puti n potrebbe cadere. Ma se al suo posto arrivasse uno peggio di lui? 

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