STUPIDA RAZZA

martedì 26 aprile 2022

Lo shock dei tassi fa cadere le Borse S&P conferma il giudizio sull’Italia

 



Ci mancava solo la pagella di S&P Global Ratings a tenere il mercato sulle spine ieri. Il giudizio arrivato in tarda serata conferma la tripla B con l’outlook positivo assegnato al debito italiano nell’ottobre scorso, quando le prospettive erano state migliorate dalla ripresa del Pil più brillante del previsto. Ora la gelata portata da guerra e inflazione cambia le prospettive, anche se il programma di finanza pubblica appena licenziato dal Parlamento prevede per quest’anno un altro taglio di 3,8 punti nel rapporto fra debito e Pil. A cui gli analisti dell’agenzia americana mostrano di credere, sottolineando «forte calo del debito sul Pil» che S&P vede nelle prospettive italiane di quest’anno e che motiva la conferma del rating. Ancora una volta decisivo è il Recovery Plan, e l’arrivo della rata di giugno che S&P ritiene probabile per l’intenzione ferma del governo di condurre in porto le riforme di giustizia, concorrenza e appalti. Per quest’anno gli analisti dell’agenzia prevedono un deficit del 6,3%, sette decimi sopra il livello del Def perché le misure contro il caro-energia dovranno rimanere in campo per tutto il 2022. Ma in un contesto di vera e propria fobia da stretta monetaria (negli Stati Uniti ci si aspetta la manovra restrittiva della Fed più dura e veloce dal 1982 e in Europa sono attesi almeno tre rialzi dei tassi nel 2022), su un Paese super-indebitato come l’Italia l’attesa per il giudizio di S&P si è fatta sentire sui mercati nel pomeriggio. Lo spread tra BTp e Bund è così salito dai 167 punti base di giovedì a 170 (per chiudere a 169), con il rendimento del nostro titolo di Stato decennale lievitato dal minimo toccato giovedì a 2,52% fino al 2,66% di ieri. A conferma che qualche preoccupazione ieri c'era sull'Italia, è salito un po' anche lo spread tra i titoli italiani e quelli spagnoli: da 71 a 74 punti base. In effetti a ottobre S&P aveva migliorato le prospettive del rating italiano da «stabili» a «positive»: in un contesto oggi ben diverso, a causa del deterioramento economico, qualcuno temeva dunque che l’agenzia di rating potesse riportarle a «stabili». Così però non   è stato. Ma dato che la notizia è arrivata in tarda serata, i mercati non l’hanno potuta registrare. Ma il problema dei titoli di Stato, a prescindere dal caso specifico italiano di ieri sera, è globale: la galoppante inflazione in tutto il mondo sta causando una valanga di vendite su tutti i titoli di Stato globali, che hanno prezzi in forte calo e rendimenti in rialzo. Gli investitori ormai chiamano il mercato obbligazionario «falling knife»: un coltello che cade e che nessuno vuole afferrare. Ieri i rendimenti decennali americani sono saliti fino al 2,91% (massimo dal 2018), prima di calare un po' dopo un debole indice Pmi sull'attività dei servizi Usa. Sui massimi dal 2018 anche i tassi a 2 e 5 anni Usa. Galoppata anche in Europa, con i Bund arrivati a 0,97%, a un soffio dalla soglia dell'1%. Questo perché i mercati temono che le banche centrali saranno costrette ad agire con una certa aggressività per aggredire l’inflazione. Negli Usa giovedì il presidente della Fed, Jerome Powell, ha fatto intendere che il prossimo rialzo dei tassi sarà di 50 punti base. E il mercato ne aspetta ora tre di fila della stessa entità. In Europa sempre giovedì il vicepresidente Bce, de Guindos, ha fatto intendere che già da luglio - quando finiranno gli acquisti di titoli - la Bce potrebbe alzare i tassi. Ieri Lagarde è stata un po’ più cauta, pur confermando la stretta in arrivo, ma il mercato si è già portato avanti: ora di rialzi entro fine anno ne attende tre, con una certa possibilità che arrivi anche il quarto. Ovvio che il mercato obbligazionario sia diventato un «falling knight». Il problema è che sta diventando un «coltello cadente» anche il mercato azionario, che finora aveva beneficiato dei capitali in fuga da quello obbligazionario. Ieri, però, la paura è arrivata anche sulle Borse: quelle europee hanno chiuso con cali anche superiori al 2%. Milano ha perso il 2,12%, Francoforte il 2,48%, Parigi l’1,99% e le Borse americane non sono state da meno, con Wall Street in frenata del 2,77% e il Nasdaq del 2,55%. La turbolenza, che parte dai tassi, non ha risparmiato le valute. Il dollaro è salito sui massimi da 25 mesi rispetto alle principali valute mondiali (dollar index). Lo yen invece viaggia sui minimi degli ultimi 20 anni, perché la Bank of Japan resta l’unica ancora espansiva. Ieri sul mercato giravano anche voci che la banca potesse agire per sostenere la valuta giapponese, che con questa debolezza importa inflazione.

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