Lo shock dei tassi fa cadere le Borse S&P conferma il giudizio sull’Italia
Ci mancava solo la pagella di S&P Global Ratings a tenere il mercato sulle
spine ieri. Il giudizio arrivato in tarda
serata conferma la tripla B con l’outlook positivo assegnato al debito italiano nell’ottobre scorso, quando le
prospettive erano state migliorate
dalla ripresa del Pil più brillante del
previsto. Ora la gelata portata da
guerra e inflazione cambia le prospettive, anche se il programma di finanza
pubblica appena licenziato dal Parlamento prevede per quest’anno un altro taglio di 3,8 punti nel rapporto fra
debito e Pil. A cui gli analisti dell’agenzia americana mostrano di credere, sottolineando «forte calo del debito sul Pil» che S&P vede nelle prospettive italiane di quest’anno e che
motiva la conferma del rating.
Ancora una volta decisivo è il Recovery Plan, e l’arrivo della rata di
giugno che S&P ritiene probabile per
l’intenzione ferma del governo di
condurre in porto le riforme di giustizia, concorrenza e appalti. Per quest’anno gli analisti dell’agenzia prevedono un deficit del 6,3%, sette decimi sopra il livello del Def perché le misure contro il caro-energia dovranno
rimanere in campo per tutto il 2022.
Ma in un contesto di vera e propria
fobia da stretta monetaria (negli Stati
Uniti ci si aspetta la manovra restrittiva della Fed più dura e veloce dal 1982
e in Europa sono attesi almeno tre
rialzi dei tassi nel 2022), su un Paese
super-indebitato come l’Italia l’attesa
per il giudizio di S&P si è fatta sentire
sui mercati nel pomeriggio. Lo spread
tra BTp e Bund è così salito dai 167
punti base di giovedì a 170 (per chiudere a 169), con il rendimento del nostro titolo di Stato decennale lievitato
dal minimo toccato giovedì a 2,52% fino al 2,66% di ieri. A conferma che
qualche preoccupazione ieri c'era
sull'Italia, è salito un po' anche lo
spread tra i titoli italiani e quelli spagnoli: da 71 a 74 punti base. In effetti a
ottobre S&P aveva migliorato le prospettive del rating italiano da «stabili» a «positive»: in un contesto oggi
ben diverso, a causa del deterioramento economico, qualcuno temeva
dunque che l’agenzia di rating potesse riportarle a «stabili». Così però non è stato. Ma dato che la notizia è arrivata
in tarda serata, i mercati non l’hanno
potuta registrare.
Ma il problema dei titoli di Stato, a
prescindere dal caso specifico italiano
di ieri sera, è globale: la galoppante
inflazione in tutto il mondo sta causando una valanga di vendite su tutti
i titoli di Stato globali, che hanno
prezzi in forte calo e rendimenti in
rialzo. Gli investitori ormai chiamano
il mercato obbligazionario «falling
knife»: un coltello che cade e che nessuno vuole afferrare. Ieri i rendimenti
decennali americani sono saliti fino al
2,91% (massimo dal 2018), prima di
calare un po' dopo un debole indice
Pmi sull'attività dei servizi Usa. Sui
massimi dal 2018 anche i tassi a 2 e 5
anni Usa. Galoppata anche in Europa,
con i Bund arrivati a 0,97%, a un soffio
dalla soglia dell'1%.
Questo perché i mercati temono
che le banche centrali saranno costrette ad agire con una certa aggressività per aggredire l’inflazione. Negli Usa giovedì il presidente della Fed,
Jerome Powell, ha fatto intendere che
il prossimo rialzo dei tassi sarà di 50
punti base. E il mercato ne aspetta ora
tre di fila della stessa entità. In Europa sempre giovedì il vicepresidente
Bce, de Guindos, ha fatto intendere
che già da luglio - quando finiranno
gli acquisti di titoli - la Bce potrebbe
alzare i tassi. Ieri Lagarde è stata un
po’ più cauta, pur confermando la
stretta in arrivo, ma il mercato si è già
portato avanti: ora di rialzi entro fine
anno ne attende tre, con una certa
possibilità che arrivi anche il quarto.
Ovvio che il mercato obbligazionario
sia diventato un «falling knight».
Il problema è che sta diventando
un «coltello cadente» anche il mercato azionario, che finora aveva beneficiato dei capitali in fuga da quello obbligazionario. Ieri, però, la paura è
arrivata anche sulle Borse: quelle europee hanno chiuso con cali anche
superiori al 2%. Milano ha perso il
2,12%, Francoforte il 2,48%, Parigi
l’1,99% e le Borse americane non sono
state da meno, con Wall Street in frenata del 2,77% e il Nasdaq del 2,55%.
La turbolenza, che parte dai tassi,
non ha risparmiato le valute. Il dollaro è salito sui massimi da 25 mesi rispetto alle principali valute mondiali
(dollar index). Lo yen invece viaggia
sui minimi degli ultimi 20 anni, perché la Bank of Japan resta l’unica ancora espansiva. Ieri sul mercato giravano anche voci che la banca potesse
agire per sostenere la valuta giapponese, che con questa debolezza importa inflazione.
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