E già scatta la rincorsa ai lattanti di 6 mesi
Non facciamo nemmeno in
tempo a inaugurare le vaccinazioni sui bimbi da 5 a 11 anni
- partiranno il 16 dicembre -
che già qualcuno si frega le
mani, al pensiero di puntare la
siringa sui ragazzini ancora
più piccoli.
È una prospettiva alla quale, da come si rivolge al Corrie -
re della Sera, sembra proprio
non riuscire a resistere il professor Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’os pedale pediatrico Bambin Gesù
di Roma: «C’è da chiedersi
perché un sistema come il
vaccino, che ha funzionato su
miliardi di adulti nel mondo,
compresi decine di milioni di
adolescenti, non debba essere
altrettanto efficiente quando
si passa a una età inferiore. È
logico aspettarsi tra non molto l’arrivo del vaccino per 6
mesi-4 anni e varrà lo stesso
ragionamento». Ragionamento che, però, è l’ap ote o s i
dell’approssimazione: i bambini non sono adulti e neppure adolescenti in miniatura.
Anzi, più sono piccoli, meno
tengono eventuali analogie. In
fondo, è proprio per questo
motivo che esiste una branca
della medicina denominata,
appunto, pediatria. Basterebbe già tale pacifica e banale
considerazione, per indurci a
evitare frettolosi parallelismi.
Ma ormai, la spirale pandemica ha risucchiato la verità
scientifica nel vortice della
propaganda politica.
A ben vedere, lascia perplessi anche l’altro paragone
proposto dal luminare del
Bambin Gesù: quando uscì il
vaccino contro la polio, ricorda lui, «nessuno protestava.
Eppure l’antipolio conteneva
virus attenuato e c’era il rischio che infettasse». Al prof
sfugge che, nel Novecento, divennero ricorrenti le ondate
epidemiche di questa patologia, che provoca gravi disabilità. Naturale si fosse disposti a
correre qualche pericolo, per
ottenere un maggior beneficio. Al contrario, il Sars-Cov2, per i giovani, è un problema
trascurabile, benché già da
qualche mese sia partito il
martellamento, ancorato a
statistiche cucite ad arte, sui
bimbi in rianimazione e le
sindromi da long Covid. Il rapporto rischi-benefici, nel caso
del vaccino per il coronavirus,
rimane più che discutibile.
Per fortuna ieri, sul Fa tto, il
direttore scientifico dello
Spallanzani, Enrico Girardi,
ha offerto confortanti barlumi di lucidità: «Il Covid-19, nei
bambini senza patologie preesistenti», ha ribadito, «è nella
quasi totalità una malattia lieve e con manifestazioni cliniche praticamente assenti». Al
contrario, vanno ancora valutati i possibili «eccessi di
eventi avversi», anche rari,
che sono difficili da riscontrare quando nei trial clinici sono
coinvolti meno di 2.000 soggetti, com’è accaduto con il
preparato di Pfizer.
La priorità della campagna
vaccinale dovrebbero essere
le fasce anagrafiche più vulnerabili e i pazienti fragili,
quasi sempre vaccinati già dai
primi mesi del 2021 e, adesso,
virtualmente scoperti. La logica vorrebbe che ogni sforzo
fosse concentrato su di loro,
piuttosto che sulla caccia ai
manipoli di no vax o, peggio,
sulla rincorsa ai bambini. Se
solo la logica non fosse ricoverata in terapia intensiva.
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