STUPIDA RAZZA

venerdì 3 dicembre 2021

Il rimedio alla stupidità dilagante forse è un granello di divina follia

 

E se l’u n ic a risposta sensata ed efficace alla stupidità dominante e dilagante, dalle istituzioni ai mass media, non fosse - come noi pensavamo - il buon senso, la normalità, la ragionevole misura, ma la follia? Se l’unico rimedio, vaccino, green pass, contro il virus della stupidità,la pandemia della stupidità, fosse accendere un granello di pazzia con le sue spiritose consorelle, l’i ronia, la satira irriverente, la fantasia creativa? Questa Pazza Idea, per dirla con Patty Pravo, mi si è affacciata perché stasera parteciperò a Teramo a Folle/mente, il festival della pazzia, giunto mi pare alla sesta edizione. Un evento piccolo e grande al tempo stesso, che ebbi la follia di ideare alcuni anni fa, e che - lo dico con meritorio nepotismo - ha come direttore artistico Gianluca Veneziani, nipote ed erede della pazzia filosofica che ci trasmettiamo da generazioni. Mi vado convincendo che di fronte alla possente armata della Stupidità, che si esprime nel politically correct, nella cancel culture, nel Metoo e in molte altre manifestazioni istituzionali e di massa, nulla possa il richiamo alla realtà, pur necessario, e al senno. Ma occorre una risorsa in più, un’energia eccezionale, fuori dal normale, che scompagini le carte, i giochi e faccia un salto di piano. Qualcosa che somigli alla «divina mania» di cui parlava S o c rate c o nve r s a n - do con Fedro nel famoso dialogo platonico. La divina follia, per P l ato n e, si esprime in tre forme: profetica, iniziatica o catartica e poetica, e ciascuna risale rispettivamente ad Apollo, a Dioniso e alle Muse. La follia, argomenta P l ato n e, è superiore alla saggezza, in quanto questa viene dagli uomini, mentre quella viene dagli dei. Potremmo forse definirla sapienza divina e oracolare per distinguerla dalla comune, mortale saggezza o dall’amor di sapienza detta altrimenti filosofia. Anche San Paolo in una lettera ai Corinzi auspicava di essere stolti in C r i s to. E questo cammino verrà intrapreso da alcuni asceti della Chiesa ortodossa che si definirono pazzi di C r i s to. La divina pazzia ribalta la convinzione pagana che Dio rende dementi quelli che vuol perdere, giudicando così la pazzia una maledizione d iv i n a . Stasera parlerò della Divina Follia di Da nte, e credo che la definizione sia appropriata. Da nte non è pazzo perché qualche scienziato, da Cesare Lombroso in poi, lo definì epilettico, narcolettico, in preda a cadute improvvise nel sonno, allucinazioni, malattie ipnagogiche e neurologiche, tremori. Vi sono perfino referti postumi in questo senso. I versi citati come prova sono noti: «Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai». O la più famosa: «E caddi come corpo morto cade» o «E caddi come l’uom cui sonno piglia». Ma non è questione di patologie; quel che i medici ritengono frutti di malattia e allucinazioni, sono propriamente le visioni mistiche, estatiche di Da nte. Il problema è che per loro una visione divina equivale già a un delirio, un’allucinazione, insomma è frutto di mente m a l ata . Da nte è un pazzo di Dio, e non a caso tenta la folle impresa di un viaggio ultraterreno, che culmina nel Paradiso e nella suprema visione della Luce. Ma non solo la sua Divina Commedia è un cammino attraverso la divina pazzia di un’Is pi ra z io n e. Tutta la sua opera è percorsa da uno spirito profetico e visionario: Da nte ha la visione dell’Italia che non c’è, poi dell’Impero che non c’è, è innamorato di una Donna Ideale, Beatrice, che non c’è, forse non è mai esistita. Ogni sua profezia si sporge nell’avvenire o in cielo ma è al tempo stesso una retrovisione nostalgica di qualcosa che era già nelle origini, nelle radici italiche, nel Sacro Romano Impero o negli Archetipi d’amore. C’è qualcosa di folle, divinamente folle, in Da nte; e le sue scelte civili ed umane, che gli costarono l’esilio, la condanna a morte e ogni genere di ostracismo, confermano la sua vena di pazzia applicata anche al suo transito terres tre. Da nte è consapevole di compiere un «folle cammino» nell’Oltretomba. Il poeta incontra, soprattutto all’Inferno, figure che evocano la follia: dal «folle volo» di Ulisse al folle amore di Paolo e Francesca, alla folle fame del Conte Ugolino ac c e c ato dalla disperazione («più che ’l dolor, poté ’l digiuno»). Da nte distingue dunque tre tipi di follia: una follia come insolenza, temerarietà, sfida al divino; una follia come invasamento d’amore fino a perdersi nel delirio della passione; e una follia nata dalla fame, dal dolore che acceca. Follie come trasgressioni che varcano i limiti. A me viene il sospetto che Da nte oggi sarebbe trattato come un pazzo, magari rinchiuso in una casa di cura, in un ex manicomio, per le sue visioni metafisiche e per le sue opinioni politiche controcorrente, rispetto al suo tempo. Guelfo tra i ghibellini, ghibellino tra i guelfi... Non a caso l’unico poeta che nel secolo a noi più vicino tentò di imitarlo, E z ra Pou n d , fu poi rinchiuso in gabbia e in manicomio, per anni. I C a n to s sono la sua Divina Commedia, ma il suo spirito visionario venne tradotto in follia e lui fu rinchiuso. Anche lui aveva criticato i dominatori del suo tempo, si era schierato dalla parte sbagliata; aveva condannato l’usura, o per dirla con Da nte «la gente nova e i subiti guadagni che orgoglio e dismisura han generata». La Divina Follia di Da nte non viene accettata nella storia (perfino dalla Chiesa) e covo il sospetto che per lui oggi ci sarebbe la stessa sort e. Ma torno infine all’oggi e al punto di partenza: e se fosse la pazzia l’unico rimedio (omeopatico, per certi versi) alla stupidità trionfante? Se dovessimo fronteggiare le dispotiche idiozie del presente facendo nostro quel che disse Pa pi n i , fiorentino, innamorato e biografo di Da nte: «Osate esser pazzi»? Non dico troppo, almeno un granello di lucida fo l l i a.



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