STUPIDA RAZZA

venerdì 3 dicembre 2021

Poco lavoro, inflazione e costi del «green»: ma che ripresa è?

 

NON STAGFLAZIONE MA DEFLAZIOENE DA DEBITI !

C’è grande entusiasmo per la crescita del Pil prevista al 6,3%. Ma è poco giustificato. Prima ragione l’inflazione, poi i costi di produzione, la disoccupazione e infine i mercati, con lo spread sopra i 130 punti. C’è pure il fattore green, un freno enorme. E soprattutto la variabile incontrollabile: il virus.Una ripresa - tecnicamente è solo un rimbalzo: siamo ancora distanti dai livelli pre pandemici - senza lavoro e senza incremento di reddito. È una ripresa che piace però al governo che ha bisogno di veder gonfiare il Pil, non importa se reale o solo nominale, per tenere a bada i mercati e anche gli eurocrati di Bruxelles scettici sui conti italiani al netto della fidejussione rappresentata da Mario Draghi. È infine una ripresa che appalesa un conflitto d’i nte re s - si tra il bilancio pubblico e quelli privati. Ocse, Fondo monetario, Paolo Gentiloni commissario all’Economia in quota Pd a Bruxelles, Da n iel e Fra n c o ministro dell’Economia certificano che il Pil ques t’anno crescerà del 6,3%. Per esserne certi dovremo attendere la metà di gennaio, solo che allora si comincerà a capire che il 2022 non si prospetta proficuo. La prima ragione si chiama inflazione, la seconda costi di produzione, la terza sono i mercati che tengono lo spread un po’ sopra i 130 punti quasi a dare un avvertimento. E poi c’è la variabile incontrollabile: il virus cinese. L’occupazione cresce meno del Pil e meno dell’inflazione. Ieri l’Istat ha certificato che a ottobre ci sono stati 35.000 occupati - peraltro solo uomini - in più rispetto a settembre e 390.000 in più di un anno fa. Il saldo dei primi dieci mesi del 2021 dice che ci sono 600.000 occupati in più, ma il tasso di disoccupazione a ottobre sale di 0,2 punti sul mese fissandosi al 9,4. Le note positive finiscono qui. Rispetto al pre pandemia mancano ancora 200.000 posti di lavoro e i contratti nuovi sono per la stragrande maggioranza a tempo determinato mentre continua la «strage» degli autonomi. A ottobre sono 9.000 in meno rispetto a settembre e 132.000 in meno rispetto a un anno fa. Guardando a gennaio 2020 mancano 350.000 lavoratori indipendenti. E il futuro non si presenta affatto migliore. Carlos Tavares - amministratore delegato di Stellantis, il mega gruppo nato dalla fusione di Peugeot con Fiat - ha detto chiaramente: «Ciò che viene imposto all’i n du - stria dell’automobile è un’elettrificazione che alza del 50% i costi di produzione rispetto a una vettura convenzionale. Non possiamo portare questo 50% in più sul consumatore finale. La classe media, nella sua maggior parte, non sarà in grado di affrontare una spesa del genere. La corsa all’elettrico è troppo accelerata, provocherà enormi tensioni e costringerà a durissimi tagli occupazionali: ci sono migliaia di posti di lavoro in pericolo». È il costo dell’idea di Ursula Von der Leyen di fare dell’Eu ro pa u n’isola green in un mondo dove la Cina decuplica le emissioni per produrre le batterie per le auto elettriche. Il comparto dell’auto peraltro in Italia sta soffrendo una crisi drammatica. A novembre per il quinto mese consecutivo è crollato del 24%. Il fattore green è un freno enorme. Nomisma Energia stima per il prossimo trimestre aumenti del gas del 50%. Il ministro della Transizione, Roberto Cingolani, dice che si dovrà riscrivere l’a rc h i tet - tura delle bollette, mentre in Europa si litiga su come affrontare la crisi energetica. Che è uno dei fattori che gonfiano l’inflazione arrivata in Germania al 6%, nell’area Euro sopra il 4, in Italia la 3,8, ma con una tendenza inarrestabile al rialzo. Il governo per ora non se ne dà pena. Del resto Mario Draghi, da governatore di Bankitalia, nel 2008 scriveva: «Una rincorsa tra prezzi e salari sarebbe rimedio illusorio», perché «la stabilità dei prezzi è prerequisito per la ripresa della crescita». Compreso? Anche Christine Lgarde sembra convinta che quella dell’i n f l a z io n e sia solo una fiammata e dunque la Bce né alza i tassi (ma chi ha un mutuo ha già dovuto pagare di più) né sospende l’acquisto titoli. Il che equivale a stampare moneta e a incoraggiare l’inflazione che al governo fa comodo perché erode il debito pubblico e in termini nominali gonfia il Pil rendendo un po’ più illusoria la ripresa. Basta considerare che nel 2019 il tasso d’inflazione era lo 0,6% e oggi il 6,3% di crescita si fa con un’inflazione al 4%. Che è il vero grande pericolo. Perché tutti i produttori hanno costi di materie prime insostenibili. Nel settore alimentare la Grande distribuzione, pur di sostenere la domanda, non accorda aumenti ai produttori italiani e comincia a rifornirsi all’e s te ro. Ma ciò che vale per gli alimentari vale per tutti gli altri settori. Il governo spera che non ci sia trasposizione degli aumenti sui listini perché altrimenti rischia di crollare la domanda delle famiglie - già dovranno sborsare almeno 1.300 euro in più all’anno per gli aumenti dell’energia - generando il peggiore dei mali: la stagflazione, inflazione senza consumi. Viene da chiedersi: se l’au - to non va, se il turismo è fermo (mancano almeno 100 milioni di presenze), se l’inflazione erode i redditi, se la bolletta energetica è esplosa, se i costi di produzione in Italia sono aumentati del 16%, se la produzione industriale già dà segni di rallentamento (è cresciuta nel periodo lugliosettembre dello 0,5%, un terzo dei due trimestri precedenti) siamo sicuri che la ripresa, peraltro giocata quasi esclusivamente sull’expo rt, non sia un fuoco di paglia? Sta arrivando Natale e non pare proprio un Natale in rip re s a .

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