NON STAGFLAZIONE MA DEFLAZIOENE DA DEBITI !
C’è grande entusiasmo per la crescita del Pil prevista al 6,3%. Ma è poco giustificato. Prima ragione
l’inflazione, poi i costi di produzione, la disoccupazione e infine i mercati, con lo spread sopra i 130
punti. C’è pure il fattore green, un freno enorme. E
soprattutto la variabile incontrollabile: il virus.Una ripresa -
tecnicamente è
solo un rimbalzo: siamo ancora
distanti dai livelli pre pandemici
- senza lavoro e senza incremento di reddito. È una ripresa che piace però al governo che ha bisogno di veder
gonfiare il Pil, non importa se
reale o solo nominale, per tenere a bada i mercati e anche
gli eurocrati di Bruxelles
scettici sui conti italiani al
netto della fidejussione rappresentata da Mario Draghi.
È infine una ripresa che appalesa un conflitto d’i nte re s -
si tra il bilancio pubblico e
quelli privati. Ocse, Fondo
monetario, Paolo Gentiloni
commissario all’Economia in
quota Pd a Bruxelles, Da n iel e
Fra n c o ministro dell’Economia certificano che il Pil ques t’anno crescerà del 6,3%. Per
esserne certi dovremo attendere la metà di gennaio, solo
che allora si comincerà a capire che il 2022 non si prospetta proficuo.
La prima ragione si chiama
inflazione, la seconda costi di
produzione, la terza sono i
mercati che tengono lo
spread un po’ sopra i 130 punti quasi a dare un avvertimento. E poi c’è la variabile incontrollabile: il virus cinese.
L’occupazione cresce meno del Pil e meno dell’inflazione. Ieri l’Istat ha certificato che a ottobre ci sono stati
35.000 occupati - peraltro solo uomini - in più rispetto a
settembre e 390.000 in più di
un anno fa. Il saldo dei primi
dieci mesi del 2021 dice che ci
sono 600.000 occupati in più,
ma il tasso di disoccupazione
a ottobre sale di 0,2 punti sul
mese fissandosi al 9,4. Le note positive finiscono qui. Rispetto al pre pandemia mancano ancora 200.000 posti di
lavoro e i contratti nuovi sono
per la stragrande maggioranza a tempo determinato mentre continua la «strage» degli
autonomi. A ottobre sono
9.000 in meno rispetto a settembre e 132.000 in meno rispetto a un anno fa. Guardando a gennaio 2020 mancano
350.000 lavoratori indipendenti. E il futuro non si presenta affatto migliore.
Carlos Tavares - amministratore delegato di Stellantis, il mega gruppo nato dalla
fusione di Peugeot con Fiat -
ha detto chiaramente: «Ciò
che viene imposto all’i n du -
stria dell’automobile è un’elettrificazione che alza del
50% i costi di produzione rispetto a una vettura convenzionale. Non possiamo portare questo 50% in più sul consumatore finale. La classe
media, nella sua maggior parte, non sarà in grado di affrontare una spesa del genere. La corsa all’elettrico è
troppo accelerata, provocherà enormi tensioni e costringerà a durissimi tagli occupazionali: ci sono migliaia di posti di lavoro in pericolo». È il
costo dell’idea di Ursula Von
der Leyen di fare dell’Eu ro pa
u n’isola green in un mondo
dove la Cina decuplica le
emissioni per produrre le
batterie per le auto elettriche. Il comparto dell’auto peraltro in Italia sta soffrendo
una crisi drammatica. A novembre per il quinto mese
consecutivo è crollato del
24%.
Il fattore green è un freno
enorme. Nomisma Energia
stima per il prossimo trimestre aumenti del gas del 50%.
Il ministro della Transizione,
Roberto Cingolani, dice che
si dovrà riscrivere l’a rc h i tet -
tura delle bollette, mentre in
Europa si litiga su come affrontare la crisi energetica.
Che è uno dei fattori che gonfiano l’inflazione arrivata in
Germania al 6%, nell’area Euro sopra il 4, in Italia la 3,8, ma
con una tendenza inarrestabile al rialzo. Il governo per
ora non se ne dà pena. Del
resto Mario Draghi, da governatore di Bankitalia, nel 2008
scriveva: «Una rincorsa tra
prezzi e salari sarebbe rimedio illusorio», perché «la stabilità dei prezzi è prerequisito per la ripresa della crescita». Compreso? Anche Christine Lgarde sembra convinta che quella dell’i n f l a z io n e
sia solo una fiammata e dunque la Bce né alza i tassi (ma
chi ha un mutuo ha già dovuto pagare di più) né sospende
l’acquisto titoli. Il che equivale a stampare moneta e a incoraggiare l’inflazione che al
governo fa comodo perché
erode il debito pubblico e in
termini nominali gonfia il Pil
rendendo un po’ più illusoria
la ripresa. Basta considerare
che nel 2019 il tasso d’inflazione era lo 0,6% e oggi il 6,3%
di crescita si fa con un’inflazione al 4%.
Che è il vero grande pericolo. Perché tutti i produttori
hanno costi di materie prime
insostenibili. Nel settore alimentare la Grande distribuzione, pur di sostenere la domanda, non accorda aumenti
ai produttori italiani e comincia a rifornirsi all’e s te ro.
Ma ciò che vale per gli alimentari vale per tutti gli altri
settori. Il governo spera che
non ci sia trasposizione degli
aumenti sui listini perché altrimenti rischia di crollare la
domanda delle famiglie - già
dovranno sborsare almeno
1.300 euro in più all’anno per
gli aumenti dell’energia - generando il peggiore dei mali:
la stagflazione, inflazione
senza consumi.
Viene da chiedersi: se l’au -
to non va, se il turismo è fermo (mancano almeno 100 milioni di presenze), se l’inflazione erode i redditi, se la bolletta energetica è esplosa, se i
costi di produzione in Italia
sono aumentati del 16%, se la
produzione industriale già
dà segni di rallentamento (è
cresciuta nel periodo lugliosettembre dello 0,5%, un terzo dei due trimestri precedenti) siamo sicuri che la ripresa, peraltro giocata quasi
esclusivamente sull’expo rt,
non sia un fuoco di paglia?
Sta arrivando Natale e non
pare proprio un Natale in rip re s a .
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