Nella mia vita ho viaggiato migliaia di ore in aereo; in particolare, avendo due patrie, in Italia e negli Stati Uniti, ho fatto circa trecento traversate dell’Atlantico. Trenta o quaranta volte ho volato in business; rigorosamente, sempre e solo se pagava qualcun altro. Non ho mai ritenuto che qualche ora di una piccola comodità supplementare e cibi marginalmente più commestibili giustificassero le cifre esose richieste dalle varie compagnie, che potevo utilmente spendere invece per la mia famiglia; non lo ritenevo a vent’anni e non lo ritengo adesso che ne ho più di settanta. Ma, come ho detto, in business ho volato; e ne ho tratto qualche prezioso insegnamento. All’atto dell’imbarco, salgono subito i viaggiatori di prima classe (quella non l’ho mai neanche sfiorata). Quando si sono ben sistemati, salgono quelli di business; sistemati anche questi, salgono gli altri. Ne segue che tutti i passeggeri che volano in classe economica hanno ampie opportunità (considerate la lentezza dell’operazione e le frequenti soste) di contemplare le comodità dei più fortunati. Il che, mi sono convinto ben presto, è una principale motivazione per molti di coloro (chissà quanti sono!) che decidono di investire in proprio in un biglietto aereo in business, bruciandoci l’equivalente di un generoso stipendio. Più dello spazio per accavallare le gambe, della possibilità di reclinare completamente il sedile e di bere vino un po’ meno mediocre, è l’invidia altrui a gratificarli (a me creava solo imbara z zo ) . È un’osservazione di antico e illustre lignaggio. In un saggio pubblicato nel 1899 dal titolo The Theory of the Leisure C l a ss (tradotto in italiano da Einaudi come La teoria della classe agiata) il sociologo americano Thorstein Veblen i ntrodusse il concetto di conspi - cuous consumption, che nella nostra lingua è stato reso con consumo ostentativo, vistoso o anche posizionale: chi ha soldi da spendere (s’i nte n d e: più del necessario) li usa spesso per comprare beni (oggetti o servizi) che non sono, in senso stretto, utili, e a volte neanche gradevoli sul piano estetico, ma hanno la funzione di esibire differenze di censo e di status. Se tutti vivessimo in isolamento, questi beni non avrebbero mercato: ciò che si acquista procurandoseli è di natura squisitamente sociale. È il risentimento provato dal prossimo, in barba alle teorie neoclassiche sulla razionalità del consumatore. Qui il consumatore si accontenta di buttare denaro della finestra pur di dimostrare che può farlo: che ne ha da buttare. Ve bl e n parlava di una classe agiata e i suoi esempi più ovvi sono (inutili) articoli di lusso. Ma lo stesso meccanismo funziona anche ai gradini più bassi della società. Quando Odisseo arriva nella sua reggia infestata dai Proci travestito da mendicante, nel canto XVIII del poema omerico di cui è protagonista, un altro mendicante di nome Arneo (ma soprannominato Iro) lo schernisce e lo insulta, in un classico esempio di lotta fra poveri; per quanto male in arnese lui sia, si compiace di umiliare uno messo (apparentemente) peggio con epiteti come «vecchia sguattera». Un mio amico di Voghera mi ha recentemente comunicato una versione dialettale dello stesso tema, che ne dimostra l’attualità dopo 3000 anni (la recitava spesso suo padre): «Lâ cunsulâsjòn d’un disprà lè vâd un àltar ândà dâ mal» («La consolazione di un disperato è vedere un altro andare male»). In Italia, da un po’di tempo, molti sono disperati, che lo ammettano o meno, e per buoni motivi. Siamo in un regime di crescente dittatura; ora che entriamo nella stagione influenzale, durante la quale ogni anno la maggior parte della gente si contagia in modo più o meno sintomatico, i tiranni ne approfitteranno per imporre nuove restrizioni. Senza una logica, a vanvera; perché è così che si induce rassegnazione nelle vittime, quando queste non possono comprendere le ragioni dei loro tormenti e abbozzare una reazione (l’irrazionalità può essere un metodo). Una dittatura, però, non può insediarsi e consolidarsi senza complici; quindi alcune delle vittime vanno rese tali. Come? Vanno indotte a schernire e insultare le altre, e vanno dati loro premi di natura sociale, fasulli come le poltrone reclinabili della classe business e come i beni del consumo ostentativo. Dovrebbero disperarsi, e probabilmente lo sanno: i vaccini non proteggono dal morbo, anzi indeboliscono le difese; ci saranno terze e quarte e decime dosi; gli eventi avversi, anche da sotto la sabbia dove hanno la testa, sono evidenti. Ma possono vistosamente entrare nei ristoranti, nei cinema, nei musei, e paragonare questa loro fortuna con il destino di chi rimane fuori; tanto gli basta, per ora. Fino al «malore improvviso» che guasterà la festa, e forse li passerà nelle file del nemico. La guerra fra poveri ha sempre avuto un solo vincitore, e non era compreso fra i poveri.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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