STUPIDA RAZZA

mercoledì 16 marzo 2022

Dal miliardo di tasse incassate in più arriva lo sconto farsa sulla benzina

 

Abbiamo letto con interesse ma adeguato distacco la notizia che la Procura di Roma si sta muovendo per appurare chi ci sia dietro il rialzo dei prezzi del carburante e in generale dietro i picchi delle bollette. La risposta sulla bocca di molti politici è una sola: la speculazione. Un consiglio che ci viene in mente è quello di puntare subito a Palazzo Chigi e al Mef, responsabili per ben il 50% degli aumenti spropositati. Una battuta? Fino a un certo punto. Perché il segno della colpevolezza deriva da una delle scelte che il governo sta mettendo in piedi per tagliare il prezzo alla pompa. Da quanto è emerso ieri, infatti, durante una riunione preparatoria al cdm di domani che ha visto al medesimo tavolo i ministri Roberto Cingol a n i , Daniele Franco, Gian - carlo Giorgetti e il sottosegretario Roberto Garofoli, si sarebbe deciso di usare l’ex tra gettito incassato tramite accise nell’ultimo mese per tagliare il prezzo finale per gli automobilisti e i trasportatori almeno da qui fino a metà aprile. L’aumento dei prezzi ha consentito allo Stato di incassare solo a gennaio e a febbraio circa 700 milioni di euro in più. Il 60% relativi all’Iva carburanti e il rimanente su elettricità e ga s . Una importante somma destinata a marzo a salire ancora di più, dal momento che la guerra in Ucraina è scoppiata soltanto alla fine di febbraio. In pratica, l’importo che potrebbe superare il miliardo non verrà consolidato a bilancio ma immediatamente utilizzato per per ridurre il prelievo sui consumi futuri. In pratica sono sempre i soldi dei cittadini con cui fanno il gioco delle tre carte con la differenza che la fregatura è solo iniziale e non doppia (ulteriori imposte per coprire il mancato gettito da taglio). Comunque una magra consolazione perché a questi livelli di prezzi lo sconto agli automobilisti italiani non durerà più di un mese o un mese e mezzo e comunque difficilmente potrebbe superare i 15 centesimi, in linea con quanto fatto in Francia e con quel che si appresta a fare la Germania alle prese con la stessa emergenza. Fonti presenti alla riunione di ieri confermano che l’extra gettito Iva servirà solo a mettere un cerotto, da qui l’idea di Mario Draghi di tornare a puntare sugli extraprofitti delle imprese di alcuni settori interessati, così da spingere giù i prezzi preservando la stabilità della finanza pubblica. Ovvero senza mettere mano alle casse dello Stato aprendo a nuovi scostamenti di bilancio, ipotesi che vede in pressing i partiti ma che continua a non convincere Palazzo Chigi. Qui si apre un secondo e grande capitolo. Il Mef punta a chiudere il Documento di finanza pubblica il 30 marzo e inserire lì dentro la strategia di medio termine per consentire a famiglie e imprese di non essere travolte dall’inflazione e dagli effetti della guerra in Ucraina. Il momento è difficile ed estremamente confuso e non sappiamo come deciderà di intervenire il governo nel Def. Probabilmente cercherà di aggiungere altre risorse agli 8 miliardi già messi nei due decreti taglia bollette senza uno scostamento di bilancio troppo ampio. Il problema si pone però sulla scelta discutibilissima di intervenire sul Codice civile e sulle scelte degli investitori. Chi decide quale deve essere il tetto del ritorno sugli investimenti? E quando le aziende sono andate in rosso per il crollo dei prezzi del barile che si sarebbe dovuto fare? In ogni caso si va verso un precedente pericoloso che potrebbe far fuggire all’e ste ro molti fondi. Non a caso c’è un precedente non troppo dissimile. Nel 2008 l’allora ministro Giulio Tremonti si mise in testa di colpire l’extra gettito delle aziende impegnate nel settore degli idrocarburi, raffinazione o commercializzazione di benzina, gasoli ed energia elettrica. L’idea era applicare una addizionale Ires del 6,5% per tutte le imprese con un giro d’affari superiore ai 25 milioni nell’anno fiscale. Punto cardine del modello impositivo era il divieto di traslazione dell’imposta sui consumatori previsto dal comma 18 dell’articolo 81 della legge che prendeva non a caso il nome da Robin Hood. Il governo voleva rubare ai ricchi monopolisti per dare ai poveri cittadini. L’idea della Robin tax era comunque interessante: durante un periodo caratterizzato da alti costi del greggio evitare che la congiuntura economica colpisse le fasce più deboli della popolazione. Una situazione molto simile all’attuale. Il responso è stato: non è ammesso imporre una tassa solo per fattori contingenti e legati ad andamenti di materie prime che per definizione sono volatili. Al contrario, il business di una azienda finisce con l’essere modificato in via definitiva dall’introduzione di una tassa che impatta su tutta la struttura dei ricavi. Per questo motivo la Robin tax è vissuta solo due anni e lo Stato non è stato costretto a restituire gli oltre 2 miliardi incassati perché - a detta dei giudici - per via del pareggio di bilancio sarebbe comunque toccato ai cittadini tappare il buco. Ecco il precedente c’è e se le partecipate non potranno andare contro l’idea di D ra g h i , lo potrà fare un’azienda privata, facendo ricorso e vincendolo. E sarebbe un bello smacco. In fondo, prima con il Covid e ora con la guerra, non si può continuare a ignorare la Costituzion e.

Nessun commento:

Posta un commento