STUPIDA RAZZA

venerdì 18 marzo 2022

Default russo? Ecco i veri rischi


Il probabile default tecnico del debito pubblico della Russia, che potrebbe scattare a partire da oggi se 117 milioni di interessi dovuti su due bond saranno pagati in rubli e non in dollari, può scatenare un effetto domino sui mercati e creare una tempesta finanziaria globale? Nel precedente default russo del 1998, la crisi rischiò davvero di far vacillare Wall Street. Colpa di uno dei maggiori hedge fund dell’epoca, il Long Term Capital Management (LTCM), che aveva effettuato investimenti miliardari sul debito russo operando con una leva finanziaria spropositata: a fronte di 5 miliardi di capitale, aveva 120 miliardi di prestiti bancari e un’esposizione che tramite i derivati arrivò a sfiorare il trilione di dollari. Ltcm aveva investito in modo massiccio sul debito russo ed era andato “short” sui Treasury Usa. Quando scattò il default della Russia, incamerò enormi perdite su entrambe le scommesse e per fronteggiare i problemi di liquidità fu costretto a vendite forzate su altri asset trascinando a forti ribassi l’intera Wall Street. Dopo che le perdite di LTCM superarono i 4 miliardi, la Federal Reserve decise il salvataggio d’emergenza del fondo per evitare un effetto contagio devastante sulle grandi banche Usa e su Wall Street. Stavolta la situazione è diversa perché negli ultimi anni l’indebitamento estero della Russia si è molto ridotto. Secondo l’Institute of International Finance (IIF), il totale delle passività esterne della Russia - dovute ai creditori dallo Stato, dalle società e dai residenti - è sceso dai 733 miliardi di dollari del 2014 a circa 480 miliardi attuali. Di questi, 135 miliardi devono essere ripagati entro un anno. I debiti dello Stato rappresentati da bond in valuta estera, euro e soprattutto dollari, ammontano a soli 40 miliardi a cui si aggiungono 100 miliardi di bond internazionali emessi dalle corporate russe. Va segnalato che pochi giorni fa, malgrado il decreto di Putin sul rimborso in rubli, Gazprom ha effettuato regolarmente un pagamento di bond in dollari. Anche l’esposizione delle banche estere verso la Russia, che complessivamente ammonta a 120 miliardi di dollari, «non è sistematicamente rilevante» secondo la direttrice operativa del Fondo Monetario Internazionale Kristalina Georgieva. I rischi “diretti” del probabile default russo dunque appaiono gestibili e, comunque, le eventuali conseguenze effettive sul settore finanziario globale emergeranno solo tra un mese al termine del cosiddetto “grace period” che consente al debitore di evitare il default tecnico. Trattandosi di un pagamento di cedole per soli 117 milioni, più che tecnico il default appare una scelta politica del Governo russo: ha i dollari per far fronte alla scadenza, ma non vuole farlo. Essendo inserito in un contesto di guerra, il default si presenta anomalo anche in prospettiva: la ristrutturazione del debito che di solito ne consegue e che richiede l’approvazione dei creditori, stavolta sarà condizionata dalla durata della guerra in Ucraina e delle conseguenti sanzioni alla Russia. Se davvero non vi saranno ripercussioni di crisi finanziaria sistemica, le perdite per l’industria finanziaria saranno ingenti e hanno già iniziato a emergere. I fondi di BlackRock hanno già incamerato perdite per 17 miliardi, azzerando il valore dell’esposizione alla Russia. Un altro asset manager Usa, Pimco, ha in portafoglio asset russi per 1,5 miliardi e ha venduto Credit Default Swap (Cds) per 1,1 miliardi agli hedge fund che, non potendo vendere asset russi in portafoglio, sono corsi a comprare protezione per assicurarsi dai rischi. E proprio dal mondo degli hedge arrivano le preoccupazioni di sistema, tanto che le varie Autorità di Vigilanza (a partire dalla Fed) hanno chiesto alle banche resoconti del monitoraggio delle esposizioni creditizie verso i soggetti che hanno posizioni a leva. Oltre venti fondi esposti verso la Russia, stando alle indiscrezioni di mercato, avrebbero sospeso i riscatti dei sottoscrittori invocando la clausola d’emergenza. I rischi maggiori riguardano chi aveva effettuato le scommesse più azzardate. Come il fondo Multibonds di H2O Asset Management, con circa 1,4 miliardi di asset in gestione, che alla fine di gennaio aveva un’esposizione al rublo russo attraverso i derivati che era equivalente al 48,3 per cento del suo patrimonio. I rischi diretti dunque, anche se gestibili, non mancano e sono monitorati dalle varie Autorità. A preoccupare di più sono i rischi indiretti (e per ora invisibili) della crisi scatenata dalla Russia e riguardano i prezzi delle materie prime e l’enorme stock di derivati a esso collegati. Emblematico il caso dell’impennata dei prezzi del nickel, che ha portato alla chiusura per nove giorni del mercato Lme (riapre oggi): la scommessa ribassista a leva ha determinato perdite miliardarie per la società cinese Tsingshan Holding Group, salvata in extremis da un accordo di standstill sul debito raggiunto con le banche creditrici. È da questo mondo, quello delle esposizioni a leva sui derivati in materie prime, che possono arrivare le maggiori preoccupazioni di contagio per il sistema finanziario globale.


Nessun commento:

Posta un commento