Mai dire default. Una macchia (quasi) incancellabile, l’incubo di tutti i
ministri delle Finanze del mondo.
Un marchio d’infamia: l’esclusione
dal mercato dei capitali.
Eppure se guardiano agli ultimi
25 anni di storia economico-finanziaria, la lunga serie di default ha sì
generato difficoltà ai governi inadempienti ma i politici responsabili del crack hanno superato quasi
indenni la fase di impasse. Lo confermano i casi di Russia (1998), Argentina (2001), Ecuador (2008),
Venezuela (2017). La classe politica
responsabile del crack resta sempre in sella e il motivo è semplice:
contrapporsi all’establishment finanziario è un’operazione populista che trova il sostegno di ampie
fasce di popolazione. «Non pagherò il Fondo monetario internazionale» - lo disse chiaro un deputato
argentino - «è un’affermazione
che, proclamata in tv, mi dà fa guadagnare consensi».
La Russia di Putin si appresta,
secondo la maggior parte degli
analisti, ad affrontare settimane
difficili: resistenza ucraina e resilienza finanziaria. Oggi la prima
scadenza cruciale, non solo per la
resistenza ucraina, ma per le scadenze del debito: Mosca dovrebbe
pagare 107 milioni di dollari legati
a due obbligazioni. La seconda
scadenza, più significativa, di 2 miliardi di dollari, sarà il 4 aprile 2022.
Oggi, 16 marzo, non accadrà nulla
ma il 15 aprile, quando sarà trascorso il “grace period”, il periodo
di grazia, i mercati registreranno i
primi effetti.
La Russia, va ricordato, cadde in
default già nel 1998. «È pessimistico
lo scenario di questi giorni», secondo Simon Waver, head of Emerging
markets di Morgan Stanley, che si
spinge ad analogie con il caso venezuelano. Neppure Mario Cordoni, Ceo di Cfe Finance, indulge all’ottimismo e introduce alcuni distinguo: «La Russia del 1998 ha beneficiato di aiuti del Club di Londra,
del Club di Parigi, del Fondo monetario internazionale; in quegli anni
il clima era favorevole, pochi anni
dopo la fine dell’Unione Sovietica.
Oggi il clima è più ostile». Un default non verrebbe affrontato con
altrettanta disponibilità da parte
della comunità internazionale.
Tutta diversa la vicenda dell’Argentina, dove il default del 2001,
130 miliardi di dollari, generò
scontri di piazza e 37 morti. Il presidente Fernando de la Rua, costretto a lasciare la Casa Rosada in
elicottero. Il crack, su titoli emessi
a New York in dollari, euro e yen,
ha provocato gravi “effetti collaterali”. Più di 450mila risparmiatori
italiani rimasero beffati e solo dopo molti anni recuperarono i risparmi. «Le due ristrutturazioni
del debito, una nel 2005 e l’altra nel
2020, provocarono scossoni sui
mercati – spiega Enzo Farulla,
analista, già Raymond James,
esperto di America Latina, ma il
peronismo populista dell’Argentina non è mai scalfito». La classe
politica argentina, peronista, resistette allo tsunami finanziario.
Il default del Venezuela rimanda ad alcune similitudini con quello della Russia di Putin. Il presidente Nicolas Maduro è sempre
sulla tolda. Intanto a Mosca le incognite sono molte: un articolo del
Financial Times, a firma di Tommy
Stubbington e Robin Wigglesworth, in merito alla scadenza di oggi,
titola così: «Se la Russia paga in rubli, cade in default?»
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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