STUPIDA RAZZA

lunedì 14 marzo 2022

«Diremo addio ai dottori di fiducia»

 

Dipendenza e Case di comunità, che spersonalizzino il rapporto tra medico e paziente, non possono essere la soluzione alla crisi dei medici di famiglia. Lo conferma Alberto Oliveti, il presidente della Fondazione Enpam, l’ente previdenziale dei medici. Da una decina di anni Enpam, tramite articoli e dossier, denuncia l’i n su f f ic ie n za dei medici di medicina generale dovuta ai pensionamenti. Qualcuno vi ha mai ascoltati? «I fatti dimostrano che il nostro allarme purtroppo è rimasto inascoltato. In Italia è fallita la programmazione, che non ha saputo porre rimedio, a tempo debito, a una penuria di professionisti della medicina generale ampiamente prevista dalle nostre analisi attuariali. Si scontano anni di disinvestimento metodico e selettivo sulla medicina generale». Misure come le Case di comunità possono essere utili? «Se le Case di comunità vengono istituite come una rete di centri attorno ai quali gravitano punti periferici costituiti dagli ambulatori sul territorio  dei medici di famiglia e dei pediatri, allora questo modello può avere un senso. Il cittadino manterrebbe infatti il proprio medico di fiducia e avrebbe la possibilità di andare in una Casa di comunità per accertamenti o in orari diversi da quelli del proprio studio di riferimento. Non auspicabile sarebbe invece la prospettiva di sostituire l’attuale sistema di studi medici con Case di comunità dislocate ogni 100 chilometri quadrati. Il paziente, invece di avere vicino a casa il medico di famiglia, dovrebbe fare chilometri per trovare semplicemente un medico di turno. In questo modo il rapporto di fiducia con una persona verrebbe sostituito da quello con un elenco. Chiunque abbia una malattia cronica o sia stato costretto a un ricovero in ospedale sa quanto sia importante avere un medico di fiducia. In una Casa di comunità congegnata nella prospettiva del “mi riceve chi è di turno”, questo modello assistenziale sarebbe del tutto improponibile perché il rapporto sarebbe spersonalizzato e a singhiozzo » . Trasformare i medici di medicina generale in dipendenti delle Regioni a iute r ebbe i paz ie nti ? «La dipendenza nuocerebbe ai pazienti, perché avrebbero di fronte, di volta in volta, un medico diverso, in base ai turni e agli ordini di servizio decisi dall’azienda sanitaria. Quindi non sarebbe più il paziente a scegliere il proprio medico, ma l’azienda sanitaria stessa, secondo logiche che metterebbero da parte la questione fiduciaria. In queste condizioni dovremmo dire addio anche a qualsiasi forma di continuità del rapporto con il profession i s ta » . Aumentando le borse di studio e aprendo sempre più posti nelle università, si risolverà la situazione? «Non del tutto. Bisogna decidere se in futuro si vuole davvero puntare sul medico “di fiduc i a” della persona, della famiglia e della comunità, oppure sulla “m e d ic i n a” della persona e della comunità. Non è la stessa cosa. Chi fa il medico di famiglia quando si forma riceve una borsa di studio che è meno della metà di quella degli altri specializzandi; quando si diploma ottiene un titolo che non ha la stessa dignità di una specializzazione; quando è in studio gli vengono scaricate incombenze da impiegato amministrativo, e nell’att ivi tà quotidiana subisce limitazioni irragionevoli: ad esempio fino a poco tempo fa non gli veniva riconosciuta nemmeno la possibilità di prescrivere medicinali cruciali per il diabete». L’unica risposta all’a s s e n za di medici di famiglia è spalmare i pazienti sui pochi professionisti rimasti? «Prima di pensare a un possibile aumento del numero di pazienti, il medico di famiglia deve essere riconosciuto come figura centrale dell’a s s i s te n za nella sua area specifica. Va supportato con strumenti e messo in condizioni di ben operare, dandogli la possibilità di assumere personale di s tud io » .

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