STUPIDA RAZZA

giovedì 3 marzo 2022

Dissenso vietato pure sulla guerra il nuovo no vax è chi non si allinea

 

 Forse occorre ricordarselo: non siamo in guerra. Vediamo cadere le bombe, sentiamo il lamento delle sirene antiaeree, osserviamo uomini e donne comuni che preparano molotov, bambino che scandiscono filastrocche patriottiche, abbiamo il conflitto a non troppi chilometri da casa e abbiamo deciso di inviare armi e munizioni. Ma non siamo realmente in guerra. Le bombe non cadono sulla nostra testa, i carri armati non sbriciolano il nostro asfalto, i proiettili non fischiano vicino alle nostre orecchie. Di fronte agli sconti ucraini, ciascuno di noi reagisce in modo differente. Qualcuno si spaventa terribilmente, altri s’infiammano d’ardo - re guerriero: in entrambi i casi si tratta di un’esperienza totalmente mediata. Non stiamo partecipando ai combattimenti, ci limitiamo a guardarli in tv e a leggerne sui giornali. Però sembra che molti – a partire dai politici – si siano convinti di essere davvero sulla linea del fronte. Il fatto è che non conosciamo la guerra vera (sono pochi, per ragioni anagrafiche, quelli che ne hanno fatto esperienza da bambini e ancora meno quelli che hanno combattuto), ma da un po’ di tempo a questa parte, e in particolare negli ultimi due anni, ci siamo abituati a comportarci come se fossimo all’interno di un conflitto. Viviamo una guerra permanente e virtuale. Non spariamo, non moriamo in battaglia, ma la guerra ci avvolge completamente. È come se l’avessimo diluita, vaporizzata nell’aria. Come scrisse Massimo Cacciari, «la guerra individua, fa emergente il carattere-dèmone di un individuo contra l’al - tro». Niente di più vero: siamo alla ricerca costante di un nemico, ci è stato imposto un linguaggio binario del tutto simile a quello delle macchine. Buono da una parte, cattivo dall’altra; puro e impuro; luce e oscurità. Non importa che si discuta di immigrazione, sessualità, virus o geopolitica: prima si mette in atto la semplificazione totale (la divisione fra Bene e Male), poi si procede a imporla a ogni livello. Ecco perché il modo in cui affrontiamo politicamente e mediaticamente l’attua l e conflitto ucraino non è poi tanto diverso da quello con cui abbiamo affrontato la pa n d e m i a . Abbiamo distinto i buoni dai cattivi, eliminando ogni sfumatura. Poi abbiamo militarizzato il linguaggio e l’in - formazione. Infine abbiamo spinto i cittadini a mobilitarsi pur sapendo che le loro azioni avrebbero potuto cambiare pochissimo (non possiamo far cessare il contagio né porre fine al conflitto, a prescindere da ciò che diciamo o facciamo). Soprattutto, abbiamo perseguitato presunti traditori, spie e sabotatori. In queste ore assistiamo a una feroce ondata di russofobia. Chiunque sia sospettato di intelligenza col nemico Pu - ti n viene accusato, censurato, bandito. Si cancellano i corsi su D o s to evs k i j, si impedisce l’ingresso ad artisti e scrittori in virtù dei loro passaporti, si prendono di mira i giornalisti che osano fornire una visione appena meno manichea del consentito. Tutto ciò, ovviamente, scatena una serie micidiale di contraddizioni anche grottesche. Molti di coloro che oggi vanno a caccia di russi sono gli stessi che, due anni fa, si preoccupavano di abbracciare i cinesi e ingozzarsi di involtini primavera al fine di fermare la «sinofobia» scatenata dall’arrivo del Cov id . Quelli che hanno fatto di tutto per coprire le responsabilità cinesi nell’esp losione della pandemia sono gli stessi che oggi invitano ad abbattere l’orso russo, spingendolo inevitabilmente tra le braccia di Pechino. Soprattutto, chi si sbraccia per la libertà e la democrazia in Ucraina continua senza particolari sussulti ad approvare la discriminazione quotidiana e ormai intollerabile di alcuni milioni di italiani privi del green pass (sì: il lasciapassare è ancora in vigore, anche se lo ricordano soltanto coloro che ne sono s p rov v i s t i ) . La brutalità con cui si perseguitano i «devianti» rimane sconvolgente. Un piccolo esempio. Il professor Giovan - ni Frajese, docente universitario di endocrinologia, il prossimo 10 marzo dovrà presentarsi al cospetto di una commissione dell’Ordine dei medici chiamata a decidere se prendere provvedimenti disciplinari nei suoi confronti. Il medico ha forse prescritto farmaci proibiti? Certo che no. Ha in qualche modo rifiutato di curare un paziente? Nemmeno. Si è limitato a esprimere alcune opinioni in una trasmissione televisiva. Il motivo per cui è stato segnalato è semplice: si è mostrato critico riguardo alla conduzione della campagna vaccinale, e ha espresso dubbi sulla vaccinazione dei bambini: tanto basta a mandarlo a processo (in senso lato). Anche qualora il professore avesse pronunciato castronerie (e non pare l’abbia fatto), vi risulta che altri medici siano stati convocati dall’Ordine in virtù di sfondoni catodici? Alcuni dottori che hanno sostenuto ripetutamente di fronte alla telecamere l’inuti - lità delle mascherine che ora sono obbligatorie, altri hanno deciso di rifiutare cure ai non vaccinati, altri ancora hanno utilizzato epiteti allucinanti nei confronti dei renitenti alla puntura. Ma per nessuno di questi si sono scomodate a tempo di record le commissioni disciplinari. Chi va al patibolo? Colui che devia dalla retta via, il sabotatore, il nemico interno che rifiuta la professione di fede. Se ci pensate, il meccanismo è lo stesso che viene applicato nei confronti di russi, russofili e presunti tali. Il cronista che si permette una valutazione considerata troppo «putiniana», il politico che rifiuta di definire Putin un «pazzo criminale»: la folla si scatena contro di loro, i colleghi li additano, i sedicenti buoni s’indignano e strepitano, ne chiedono la cacciata. Il russofilo, in sostanza, è il nuovo no vax. E va silenziato, insultato, colpito. Non potendo sparare su soldati in carne e ossa, si spara su D o s to evs k i j, così come si abbattono le statue dei «colonizzatori» o si sputa sulla memoria di premi Nobel defunti e «controversi». Costruiamo nemici posticci per non dover ammettere che i nostri primi nemici siamo noi.

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