STUPIDA RAZZA

giovedì 3 marzo 2022

Grano e mais bloccati nei porti ucraini È allarme alimentare

 

Tra due mesi addio spaghetti e michetta. Ma anche a latte e prosciutto. Le scorte di grano stanno finendo e sul mercato globale dei cereali si è scatenata la tempesta perfetta: manca il prodotto (i raccolti in tutto il mondo sono stati scarsi), la speculazione lo tesaurizza, la guerra lo blocca definitivamente, la Cina lo ha arraffato preventivamente. I prezzi sono fuori controllo: hanno fatto più 5% in una settimana e stavano già ai massimi a quota 10 dollari a bushel che significa 40 centesimi al chilo. Immediato il riflesso sull’inflazione. Ieri l’Istat ha certificato che i prezzi sono cresciuti a febbraio dello 0,9% il che porta l’i n f l a z io - ne su base annua al 5,7%, un livello che non si vedeva da 27 anni, dal 1995. A infiammarsi non sono solo i prezzi dell’energia che pure sono impazziti (più 45,9%) ma soprattutto gli alimentari che sono rincarati in un solo mese del 4 ,9 % . I provvedimenti del governo sulle bollette a questo punto sono meno di un brodino e se anche fosse tutta colpa della guerra si pongono due problemi molto seri: la tenuta del potere d’acquisto e quella del sistema alimentare. Il rischio è la carestia o la stagflazione: che i prezzi crescano e i consumi scendano. Peraltro l’ortofrutta ha già registrato un calo di consumi del 3,1%. Il blocco dei porti ucraini ora determina l’a z ze ra m e nto delle forniture e la crisi diventa insostenibile anche per gli allevamenti perché Kiev col suo mais sfama al 20% le nostre vacche e i nostri maiali. È un allarme che viene da lontano, simile a quello del gas. L’Europa tra coltivare e farsi bella con le politiche ambientali ha scelto la seconda strada. Lo stesso ha fatto l’Italia - abbiamo perso 200.000 ettari di coltivazione di cereali negli ultimi dieci anni - con l’aggravante che da noi i contadini vengono pagati pochissimo. Dipendiamo al 64% dal frumento estero e al 38% dal grano duro d’i mportazione, per il mais ce ne manca quasi la metà. La Russia è il primo esportatore mondiale di frumento, l’Ucraina è il quinto produttore di mais nel mondo. Noi compriamo dalla Russia circa 100.000 tonnellate di grano all’anno (il 5% del fabbisogno), dall’Uc ra i n a 120.000 di grano (circa il 6% del nostro menù) e 700.000 tonnellate di mais. I porti bloccati sono quelli di Mariupol nel mare di Azov e di Odessa. Da lì partono le rotte adriatiche che portano i cereali (e non solo) in Italia. Al porto di Ravenna - è il primo terminal cerealicolo d’Ita l i a (memoria della fu potenza dei Fe r ru z z i ) - movimenta 360.000 tonnellate di semi ogni anno. Da due settimane da Est non arriva nulla. Egualmente stanno per entrare in crisi le lavorazioni siderurgiche perché le brenne di acciaio grezzo destinate alle fabbriche del nord-est non attraccano più a Monfalcone e a Porto Nogaro. Come fa notare il presidente di Assoporti Rodolfo Giampieri a Tag 4 3 «ci sono dei problemi sui porti adriatici per quel che riguarda materiali ferrosi e cereali». Cinque giorni fa Vincenzo Divel l a (uno dei pastai più cospicui d’Italia) ha detto: «Il nostro grano è bloccato nei porti del mare di Azov, se non arriva entro una settimana fermiamo gli impianti». Due importanti pastifici come la Molisana e Rummo hanno dovuto sospendere da giorni la produzione. La Russia peraltro aveva già deciso di rallentare prima che scattasse l’invasione dell’Ucraina - che ha venduto molto mais alla Cina - le spedizioni estere del suo grano. Come nota la Coldiretti che oggi a Verona, dove si apre Fieragricola, fa un sit-in con i suoi giovani con vacche e trattori per chiedere lo stop alla guerra - il conflitto ucraino ha messo in ginocchio un terzo del mercato mondiale dei cereali e circa l’80% di quello d el l’olio di girasole. Tutto questo genera uno tsunami alle quotazioni dei mangimi (la soia ha rincari a ritmo del 6% a settimana) e anche dei fertilizzanti che si fanno con il metano. Il risultato è l’inflazione che peraltro affama proprio i contadini. Sostiene Ettore Prandini - presidente di Coldiretti - il costo di produzione di un litro di latte oggi è 46 centesimi, ma alla stalla viene pagato 38 centesimi. La passata di pomodoro remunerata 58 centesimi è venduta oltre 1,30 euro e il pane che si compra a 4 euro al chilo per un agricoltore vale 31 centesimi perché il grano italiano è pagato meno di quello estero (che non arriva). Il risultato è la messa in discussione dell’autosufficienza alimentare. L’eccesso di dipendenza estera e l’impennata di costi rischiano di bloccare del tutto la «macchina» dell’a g roa l i m e nta re. Luigi Sco rd m a g l i a , consigliere delegato di Filiera Italia, avverte: «L’esplosione die costi di materie prime, di energia e la Cina che si è accaparrata il 70% del mais mondiale e la scarsità di produzione hanno determinato uno shock fortissimo nel sistema agroalimentare. Le imprese hanno cercato di evitare di scaricare sul consumatore finale questi aumenti, ma oggi non reggiamo più. Il rischio è che molte piccole e medie imprese che sono l’asse portante del sistema agroalimentare non ce la facciano.» La questione alimentare è posta.

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