Secondo il Wall Street Journ al , l’Arabia Saudita è in trattative con Pechino, per venderle petrolio in yuan. I negoziati sarebbero in realtà in corso da alcuni anni, ma avrebbero subito un’ac ce l erazione nelle ultime settimane. Ricordiamo che circa l’80% delle vendite globali di petrolio avviene in dollari e che, dagli anni Settanta, i sauditi hanno usato esclusivamente valuta statunitense per il commercio di greggio. La notizia delle trattative, che ha determinato ieri un rialzo dello yuan, è arrivata poco dopo che Mosca aveva reso noto di voler ricorrere alla valuta cinese per alleviare l’effetto delle sanzioni occidentali. «Lo yuan cinese è una valuta di riserva affidabile», aveva detto il ministro delle Finanze russo, Anton Silua - n ov, l’altro ieri. Tutto questo dimostra la crescente influenza di Pechino non solo sulla Russia, ma anche su aree mediorientali che tradizionalmente gravitavano all’i nterno dell’orbita statunitense. Con buona pace di chi si ostina a considerarla un mediatore auspicabile, la Cina sta facendo di tutto per massimizzare il proprio tornaconto geopolitico dalla crisi ucraina, accarezzando l’obiett ivo di marginalizzare Washing to n . Innanzitutto Xi J i n pi n g sa che la crisi politico-commerciale con l’Occidente porterà Mosca a essere sempre più economicamente succube di Pechino. In secondo luogo, il Dragone sa bene di poter far leva sulle tensioni che da sempre accompagnano i rapporti tra Riad e l’a m m i n i s tra z io n e Biden. I sauditi non hanno mai digerito il tentativo di rilanciare l’accordo sul nucleare con l’Iran, promosso dall’attuale Casa Bianca. Dissensi si sono registrati anche sul dossier della guerra nello Yemen. Senza poi dimenticare che, negli ultimi tempi, si è verificato un avvicinamento di Riad nei confronti di Pechino e Mosca. Del resto, pur votando la risoluzione Onu di condanna dell’invasione russa, i sauditi hanno tenuto un atteggiamento ambiguo sulla questione. Tutto questo, mentre la settimana scorsa si sono rifiutati di tenere un colloquio telefonico, che era stato chiesto da Joe Biden sul tema dell’aumento della produzione di petrolio. Oltre all’erosione d’i nfluenza, l’attuale presidente americano deve fare i conti con veri e propri cortocircuiti geopolitici. Pare infatti che stia considerando l’ipotesi di allentare le sanzioni al Venezuela per combattere il caro energia: una mossa assurda. Non solo Caracas è retta da una dittatura (e B id e n in campagna elettorale aveva contestato a Donald Trumpdi essere troppo accondiscendente verso i leader autoritari). Ma, più nello specifico, il Venezuela intrattiene saldi legami politici ed economici proprio con Russia e Cina. Decretare un embargo energetico verso Mosca e aprire al contempo a Caracas non è una mossa geniale. E intanto, anche in conseguenza della spregiudicatezza cinese, l’Occidente rischia di diventare sempre più dipendente da regimi non proprio in linea con gli standard liberal-democratici. Che, con le sue mosse e le sue rappresaglie mal congegnate, sta pingendo a compattarsi.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
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