STUPIDA RAZZA

martedì 19 aprile 2022

Borse, Nasdaq sotto pressione L’inflazione abbatte i titoli tech

 

Wall Street non si ferma nel giorno di Pasquetta e riparte da dove ci aveva lasciati prima del lungo ponte festivo: all'insegna dell'incertezza. Seppur in una seduta a ranghi ridotti, e per questo caratterizzata da bassi volumi, i titoli ad alta crescita contenuti nel paniere tecnologico Nasdaq hanno continuato a soffrire con una seduta per larghi tratti contrastata in cui sono arrivati a perdere intraday anche un punto percentuale (recuperando nel finale). Da fine marzo il listino ha ceduto il 9% portando a -14% il passivo accumulato da inizio anno. Un calo doppio rispetto al “cugino” S&P 500 e superiore al -11% della Borsa tedesca e al -9% di Piazza Affari (ieri chiuse). Sullo sfondo l'inflazione che resta la principale minaccia al momento non solo per i consumatori ma anche per gli investitori. Il balzo del natural gas di ieri (+3%) non ha certo raffreddato i timori di una spirale. Il cambio di narrazione delle banche centrali sull'inflazione (da “transitoria” a minaccia da contrastare con ogni arma) sta mettendo ko il mercato obbligazionario, dove è in atto una costante fuga da parte degli istituzionali (la capitalizzazione globale dei bond è arretrata di circa 7mila miliardi di dollari dai massimi di fine 2021 assestandosi ai livelli attuali sotto i 63mila miliardi). Allo stesso tempo rappresenta una mina vangante per il settore dell'equity, in particolare per quegli indici meno equipaggiati per arginare gli effetti del caro-vita. Il Nasdaq ne è l'emblema. In uno scenario di elevata inflazione – che fa rima con maggiore propensione delle banche centrali ad alzare i tassi – i titoli tech/growth tendono a soffrire perché le loro valutazioni sono molto sbilanciate sulla crescita futura degli utili, il cui potenziale viene indebolito da tassi più cari. Scenari di elevata inflazione premiamo invece i titoli agganciati alle materie prime che in questa fase sono la causa principale dell'impennata dei prezzi. Ci sono poi settori come “consumi di base” (+3% da inizio anno a Wall Street) e “healthcare” (-1%) che tendono a comportarsi bene o a limitare i danni in questi momenti perché rappresentano quei beni necessari di fronte ai quali il consumatore non si ferma neppure in caso di rialzo dei prezzi. Tendono a proteggere il capitale dall'inflazione anche i titoli che distribuiscono elevati dividendi mentre non se la passano bene ovviamente “consumi discrezionali” (-12%) e comunicazioni (-15%) Di conseguenza, mentre i bond cadono, sull'azionario aumentano le rotazioni con i gestori che vanno a premiare i settori/titoli che rappresentano una copertura naturale contro il caro-vita. In sostanza quelle aziende che possono permettersi di aumentare i prezzi senza perdere fatturato, fra cui rientrano molte utilities (+6% da inizio anno e seconde solo al +42% degli energetici). Si spiega anche così l'andamento in controtendenza della Borsa di Londra che da inizio anno è addirittura in territorio positivo (+3%) ed è la migliore tra i listini europei. La risposta arriva scandagliando la natura dell'indice londinese. «Possiamo attribuire questa sovraperformance alla composizione strutturale del mercato britannico, che è molto più orientato verso i settori value – spiega Will Rhind, ceo e founder di GraniteShares -. In particolare, se confrontiamo l’indice Ftse 100 con lo Stoxx 600, che è probabilmente il benchmark europeo più riconosciuto, l’allocazione al settore energia, grande vincitore di questa prima parte dell’anno, si attesta intorno al 12% contro il 5,5%. L’indice contiene molte società minerarie ed energetiche che quest’anno - fino ad oggi - hanno sovraperformato. Società come Shell, BP, Rio Tinto hanno un peso maggiore nell'indice del Regno Unito rispetto ad altri mercati. D’altra parte, il mercato del Regno Unito ha un bias verso i titoli growth che funziona effettivamente come una copertura contro i ribassi. Anche in questo caso, confrontando i due indici, l’allocazione alle società tech per il Ftse 100 è pari a un esiguo 1,1% contro il 7,3% del mercato europeo». E poi, a cercare le “anomalie” del mercato, ve n'è un'altra che arriva da Wall Street. Per la prima volta nella storia sommando i rendimenti obbligazionari (Treasury a 10 anni al 2,8%) a quelli dell'S&p 500 (earning yield al 4,4%) si ottiene un valore (7,2%) inferiore al tasso di inflazione corrente (8,5%). Questo dato, il cosiddetto “Reverse Fed model”, indica che se l'inflazione non tornerà presto su valori più moderati allora dovranno essere le quotazioni di bond e azioni a perdere quota in modo tale da riportare la somma dei rendimenti più in alto dei prezzi al consumo. Staremo a vedere. Ma si tratta dell'ennesimo indizio che questo 2022 si sta rivelando davvero un anno complicato per vestire i panni dell'investitore profittevole.

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