STUPIDA RAZZA

giovedì 14 aprile 2022

Cereali, Kiev riprende l’export Ma resta l’allarme per i prezzi

 

L’invasione russa dell’Ucraina ha sconvolto ma non inceppato il mercato internazionale dei cereali e dei semi oleosi. I primi giorni del conflitto hanno spinto i trader mondiali sulla strada degli acquisti forsennati nel timore di restare senza prodotto, visti i numeri in gioco dei due contendenti. Questo ha provocato volatilità e forti impennate dei prezzi. Ora, a silos pieni e con i flussi commerciali verso la quasi normalità, resta il nodo del prezzo, che si mantiene elevato rispetto alle campagne scorse. Il prodotto c’è, ma il prezzo è proibitivo. I numeri base Russia e Ucraina rappresentano assieme il 30% delle esportazioni globali di grano, il 15% di mais, più del 16% di colza, il 77% di olio di girasole e l’80% di semi di girasole. Oltre all’Europa, le aree maggiormente interessate da questi flussi sono l’Africa, il vicino oriente e l’Asia. Come ha ricordato recentemente il vice direttore generale della Fao, Maurizio Martina, oltre cinquanta Paesi del  Nord Africa dipendono per più del 30% dalle importazioni da Ucraina e Russia. Particolarmente sensibili sono Egitto (40% di grano dalla Russia, 60% dall’Ucraina), Congo, Somalia, Eritrea, Tunisia. La preoccupazione della Fao è che una interruzione delle esportazioni possa mettere alla fame milioni di persone nel continente africano, già afflitto da siccità, carestie e e guerre. Il ricordo delle rivolte del pane degli anni scorsi, che sfociarono nelle primavere arabe in Tunisia, Libia ed Egitto, è ben presente. La situazione sul campo Alcuni giorni fa il ministero ucraino dell’Agricoltura ha comunicato tre notizie importanti. Prima notizia: nonostante la guerra i coltivatori hanno seminato 14,9 milioni di ettari a colture primaverili che si sommano ai 7,6 milioni di ettari a semine invernali. In questo quadro l’Ucraina ha coperto il 72% dei propri seminativi, escludendo ovviamente le aree a Est oggetto del conflitto.Seconda notizia: il ministro Mykola Solsky ha annunciato che è operativo l’accordo raggiunto con la Romania, in base al quale al porto di Costanza sul Mar Nero, il quarto in Europa per volumi di traffico, arrivano treni carichi di commodities partite dai centri di stoccaggio ucraini. In questo modo Kiev riesce ad aggirare il blocco militare dei porti imposto dalla Russia, in particolare Mariupol e Odessa. «Prima della guerra - spiega Roman Slaston, direttore generale dell’Ukrainian Agribusiness Club - prevedevamo di esportare nel 2022 circa 15 milioni di tonnellate di grano. Ora contiamo di esportarne 600mila tonnellate al mese via ferrovia». Terza notizia: sempre via ferroviaria, Kiev ha iniziato a esportare commodities in Europa utilizzando la direttrice verso la Polonia. L’unico prodotto che l’Ucraina non riesce ad esportare è l’olio di girasole, molto richiesto in Europa e in Italia. Il motivo è semplice: gli impianti di raffinazione sono stati chiusi e il personale inviato al fronte. Il caso russo Le sanzioni contro la Russia hanno avuto una efficacia psicologica nei primi giorni dell’invasione, proiettando l’idea di una nazione completamente chiusa al mondo. Poi, nonostante le forti restrizioni valutarie e i blocchi commerciali imposti dalla comunità internazionale occidentale, anche Mosca ha trovato più di una strada per le proprie esportazioni di grano, orzo, mais e girasole, oltre a quelle di petrolio e carbone. Più di un osservatore segnala che navi cargo approdano nei porti della Turchia per poi prendere la strada del Nord Africa. Navi che non battono bandiera russa ma trasportano derrate di provenienza russa. Oltre alla Turchia, alcuni trader segnalano che per i cereali russi è in essere un sorta di triangolazione anche con Bielorussia, Cina e India. Le previsioni Usa L’8 aprile lo United States Department of Agricoltural (Usda) ha presentato le stime per la campagna cerealicola, dei semi oleosi (soia, colza e girasole) e dello zucchero sia per gli Stati Uniti che per il Sud America. In sostanza le previsioni non sono di sensibili variazioni quantitative, sia nelle superfici seminate sia per i potenziali raccolti e gli stoccaggi. Quello che segnala l’Usda, invece, come «significative incertezze» sono le strozzature nelle catene di approvvigionamento che comportano una forte volatilità delle quotazioni che rischia di perdurare fino a quando i trader, gioco forza, dovranno liberare gli stocks per fare posto al nuovo raccolto. Con il pericolo che la bolla speculativa scoppi. Lo indica bene l’indice Goi dei prezzi elaborato dall’International Grain Council (Igc) volato tra marzo e febbraio del 33,2%, con punte del 55,6% per il grano, del 56,6% per l’orzo e del 40% per il mais. Con prezzi del genere - ritorna l’allarme Fao di Maurizio Martina - nessun Paese del Nord Africa potrà permettersi di acquistare derrate nelle stesse quantità degli anni precedenti. La situazione in Italia «Sarà una campagna agricola complicata», spiega Gianluca Lelli, amministratore delegato di Cai, Consorzi agrari d’Italia, una rete che produce oltre 650 milioni di euro di ricavi annui, conta più di 11mila soci e rappresenta la più grande piattaforma per il collocamento delle produzioni agricole nazionali. «Sullo scenario internazionale - spiega - è condivisibile la preoccupazione di Martina, anche perché su mercati piccoli bastano spostamenti minimi per creare reazioni importanti. Per quanto riguarda l’Italia la campagna di semina vede in leggera flessione il grano duro, sostanzialmente stabile il tenero mentre c’è attenzione sul mais. A preoccupare non è una carenza futura di prodotto, ma da una parte la siccità e dall’altra i rincari delle materie prime e quindi dei costi a carico delle aziende: dai fertilizzanti all’energia gli aumenti sono stellari. E questo si rifletterà sulla capacità di tenuta della aziende». Intanto in Europa circola già un mantra: l’autarchia alimentare.

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