STUPIDA RAZZA

lunedì 11 aprile 2022

Congelate le principali attività italiane

 

Sospese nel limbo o, se si preferisce, «congelate». A più di un mese dall’invasione russa in Ucraina, le principali attività italiane a Mosca sono in equilibrio precario, in attesa di valutare le ricadute dello spettro di sanzioni comminate a Mosca. Ma è proprio l’incertezza il peggior nemico per chi deve comunicare con il mercato. Le ultime trimestrali dei principali gruppi italiani attivi a Mosca si sono trasformate in un delicato esercizio, nel tentativo di ritardare il più possibile l’appuntamento con un deterioramento delle previsioni che, in molti casi, sembra però difficile da evitare. Intesa Sanpaolo e UniCredit sono state tra le prime a fare i conti, comunicando agli investitori i possibili scenari di evoluzione; anche se l’esito peggiore, l’azzeramento delle posizioni con impatti di rilievo sul Cet1 ratio, sembra lontano. L’ad di Intesa Carlo Messina ha chiarito che l’impatto sarà «assolutamente gestibile». Proprio ieri il gruppo ha precisato che «la presenza locale in Russia è in fase di revisione strategica», sottolineando che «sin dall’inizio della crisi» Intesa «non ha perfezionato nuovi finanziamenti con controparti russe e bielorusse e ha interrotto le attività di investimento in strumenti finanziari». L’esposizione è di circa 5,1 miliardi, di cui 1,1 erogati tramite banche locali e 4 tramite la casa madre. La revisione delle posizioni darà i suoi effetti sui conti del primo trimestre, quando saranno conteggiate eventuali svalutazioni sui crediti: secondo le stime di Credit Suisse, nello scenario estremo il gruppo perderebbe fino a 125 punti base sul Cet1. Il ceo di UniCredit. Andrea Orcel, ha detto che sta «completando una revisione urgente e prendendo in considerazione l’uscita» dalla Russia. L’esposizione creditizia autofinanziata di UniCredit Russia è di 7,8 miliardi a fine 2021, quella cross border è di circa 4,5 miliardi, al netto di garanzie per circa 1 miliardo. A queste somme si aggiungono 300 milioni di derivati, che porterebbero la perdita potenziale a un miliardo con il rublo a zero. Nello scenario «estremo» l’impatto sul Cet1 ratio a fine 2021 sarebbe di circa 200 punti. Ma a oltre un mese dallo scoppio del conflitto il mercato interno russo sembra ancora lontano dalla paralisi ipotizzata nei primi giorni. «Monitorare la situazione» è il mantra delle aziende italiane. L’approccio al tema ha conosciuto livelli diversi di intensità, a seconda del grado di coinvolgimento. A prendere di petto la situazione sono stati, fin dai primi giorni, soprattutto i gruppi energetici. L’ad di Enel, Francesco Starace, ha dichiarato che il gruppo «non può avere un’ulteriore crescita in Russia», dove oggi controlla tre impianti di generazione a ciclo combinato e due impianti eolici. Il gruppo sta valutando «tutte le strade percorribili», ma per una decisione definitiva è necessario attendere ancora qualche mese. Eni, come altri player del settore, ha provato a rimarcare una distanza da ogni eventuale interesse societario in Russia, dichiarando di essere pronta a cedere la quota in Blue Stream (detenuta con Gazprom). Le jv con Rosneft invece sono già congelate da anni, anche per le sanzioni del 2014. Maire Tecnimont ha dettagliato un peso di circa 1,5 miliardi dei contratti «russi» in portafoglio (pari al 17% del totale); con riferimento agli aspetti patrimoniali, «il saldo netto delle partite contabili di bilancio con la Russia è in sostanziale equilibrio». Danieli invece ha rivisto al ribasso del 10% la guidance: ha escluso circa 520 milioni di ordini - acquisiti ma non ancora in vigore - dal portafoglio e dalla pfn per gli anticipi già incassati, defalcando anche le quote a finire ancora da sviluppare su progetti in ritardo, per altri 370 milioni. Pirelli ha condotto un’analisi di impatto definendo il rischio che la guidance possa posizionarsi nella parte bassa, 30 milioni in meno di generazione di cassa rispetto alla parte alta. Pirelli è tra le italiane con siti sul suolo russo. «Le attività saranno limitate – spiega - al necessario per garantire stipendi e servizi sociali». Verso lo stop, ha dichiarato il ceo Carlos Tavares, anche la produzione di furgoni di Stellantis a Kaluga. Barilla, che in Russia controlla una fabbrica cui ha da poco affiancato un nuovo sito ha invece deciso, «di sospendere i nuovi investimenti e di non trarre profitto dalla presenza in Russia», pur continuando «a produrre localmente».

Nessun commento:

Posta un commento