SARA'......!
Il rublo è tornato. La moneta russa, dopo essersi svalutata oltre il 70% nei confronti dell’euro, è di nuovo sui valori pre-guerra. L’indizio che le sanzioni economiche contro Mosca sono inefficaci? La risposta è articolata. Le stime indicano un calo del Pil russo fino al 14-15%. Sembrerebbe, quindi, che l’economia sia colpita dalle restrizioni economiche. Sennonché il rublo, per l’appunto, è risalito. «In realtà - spiega Gian Marco Salcioli di Assiom Forex - la dinamica è “artificiale”». Cioè? «Esiste un flusso finanziario di moneta forte (euro o dollari, ndr) verso la Russia legato essenzialmente all’acquisto di gas e petrolio». L’Europa, ad esempio, a marzo pagava una bolletta energetica di quasi un miliardo di euro al giorno. Ebbene: «Mosca - riprende Salcioli- trasformando entro 3 giorni l’80% dei pagamenti dall’estero, costringe i suoi grandi esportatori di gas e oro nero» a convertire queste somme in rubli. «Ed è questa domanda artificiale che ha contribuito a sostenere la divisa russa». Non solo. Mosca ha emesso un decreto, di volta in volta posticipato nella sua applicazione, che prevede il doppio conto presso GazpromBank: gli acquirenti esteri pagano in valuta forte, depositando i denari presso il primo conto; l’istituto, dopo aver convertito i soldi in rubli, li deposita sul secondo da cui la società esportatrice può prelevarli ed essere pagata. Nei fatti, al di là che Bruxelles ha definito il meccanismo incompatibile con il sistema delle sanzioni in quanto ne consentirebbe l’aggiramento, la conversione forzosa potrebbe arrivare al 100%. Insomma: un’ulteriore potenziale spinta alla divisa di Mosca. La quale, peraltro, si è avvalsa anche delle mosse della Banca centrale moscovita. Questa, nei primi giorni del conflitto, ha alzato i tassi a breve. Prima al 20% per, successivamente, ridurli al 17%. Una mossa che, se non ha attirato investimenti dall’estero, di certo ha indotto i soggetti locali a non vendere il rublo. Il che, nuovamente, ha agevolato la moneta russa. Sennonché la strategia, più sul lungo periodo, perde efficacia. In particolare la conversione obbligatoria ha un forte impatto nel momento in cui la moneta da aiutare è fortemente svalutata. Quando questa si è ripresa, il meccanismo diventa meno rilevante. Russia e Cina Fin qua le considerazioni di breve periodo. Quali, però, le prospettive rispetto ad un arco di tempo più ampio? Anche qui, al centro del palcoscenico, c’è la Banca centrale russa con le riserve in oro. All’inizio del conflitto quelle in sua piena disponibilità ammontavano a circa 140 miliardi di dollari. Nelle recenti settimane, però, l’istituto ha avviato nuovi acquisti del metallo prezioso dalle banche locali: prima al prezzo fisso di 5.000 rubli al grammo e, successivamente, ad un valore negoziato. «Al di là delle quotazioni - spiega Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte - va sottolineato che la strategia», come peraltro il Governo russo ha più volte paventato, «può costituire un primo passo verso la parziale convertibilità del rublo in oro». Cioè: Mosca starebbe accumulando riserve auree le quali potrebbero, seppure in quantità limitata, costituire una garanzia per la sua moneta. In questo modo il rublo avrebbe maggiore possibilità di essere accettato quale sistema di pagamento. Vero! Il progetto non ha alcuna chance nei confronti dei Paesi schierati contro Putin. E, tuttavia, altri Stati potrebbero iniziare a non considerare il rublo carta straccia. In primis la Cina. Nel 2021 l’interscambio commerciale totale tra Pechino e Mosca è salito a 146,9 miliardi di dollari (+35,9% sul 2020). L’obiettivo è di arrivare a 250 miliardi. Un contesto in cui, da una parte, è chiaro l’incremento del legame economico-politico tra i due Stati; e, dall’altra, esiste l’obiettivo di usare sempre di più le valute locali, e non il dollaro, per regolare gli scambi. «Anche per questo - riprende Cesarano - Mosca vuole una valuta forte che appaia più stabile». Ciò detto, però, chi fa la parte del leone non è il rublo, bensì il renminbi (yuan): quest’ultimo nel 2013 era usato nel 2% del settlement degli interscambi tra i due Paesi; nella prima metà del 2021 il valore è arrivato al 23%. «Il rinfonzarsi del rublo - riprende Cesarano - può essere strumentale al tentativo di Pechino di fare assumere al renminbi il ruolo di dominus nei mercati dei Paesi non allineati alle sanzioni». Certo: questo non significa che la divisa cinese possa, nel medio periodo, impensierire il regno del dollaro. Secondo Swift, lo scorso febbraio, il renminbi pesava il 2,23% negli scambi globali (il dollaro è al 38,85% e l’euro al 37,79%). Nondimeno il conflitto segna la nascita di un nuovo paradigma dove, anche grazie al rublo forte, Pechino avvia con più intensità la sfida al biglietto verde di Washington.
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