I l mood è quello del risveglio dopo una (lunghissima) sbornia. Accompagnato da una domanda: lo streaming ha smesso di crescere? Per la prima volta da dieci anni a questa parte il colosso di Los Gatos, emblema di un nuovo modo di conquistare utenti e abbonati con contenuti audiovisivi premium, ha perso abbonati: 200mila in tre mesi. Poca roba verrebbe da dire a fronte di quasi 222 milioni di abbonati. Ma già nello scorso trimestre la crescita era risultata rallentata. E il prosieguo dell’anno non dà buoni segnali. Anzi. Da qui gli inevitabili interrogativi strutturali. Che per prima la stessa Netflix deve essersi fatta come dimostra il suo impegno nel gaming che l’ha portata a tre acquisizioni in un anno. Del resto tutto ormai è nello stesso calderone, dalla Tv, allo streaming, ai social, al gaming. L’obiettivo è il tempo dell’utente-consumatore, sempre più conteso. Il solo panorama dei servizi streaming è fin troppo affollato, in un mercato in cui i competitor si chiamano Disney+, Paramount+, Peacock di Comcast, Apple Tv, Amazon Prime Video, Hulu e in prospettiva il nuovo nato Warner Bros. Discovery con in pancia la sua Hbo Max. Questo solo nel mercato Usa. In Europa, in più ci sono anche tutta una serie di agguerriti player locali. I quali, nel loro piccolo, insieme alle tv tradizionali e alle pay tv sono portatori di un segnale da non trascurare. Content is the king. Ma accanto ai successi mondiali (leggi Squid Game) i contenuti locali fanno ancora la differenza. Almeno in Europa. Non è un caso che Netflix, Disney o Amazon abbiano spinto e stiano spingendo su produzioni locali, ma è una scommessa non facile per questi colossi mondiali perché su questo devono confrontarsi con la capacità produttiva dei player tradizionali e delle pay tv, che qui hanno il loro punto forza. A questo punto però, hanno puntualizzato i vertici Netflix, un intervento si renderà necessario sulla concurrency, l’abbonamento condiviso. Proprio lei: l’origine dei mali che ha portato alla caduta del progetto Timvision - portato avanti dall'ex ad Tim Luigi Gubitosi - campione nei contenuti e, come tale, driver della crescita nel core business della fibra. Non è andata così. Ed è finita invece con il balletto del partner Dazn sulla cancellazione della concurrency e i negoziati ancora in corso fra Dazn e Tim. Per Netflix si tratta di una “grana” da almeno 100 milioni di famiglie. Certo, per onestà va detto che si parla di quella leva che le piattaforme di videostreaming hanno usato a piene mani nella lotta al cordcutting. Da Netflix non ci sarà taglio della condivisione, ma una maggiorazione di prezzo. Però il sapore è quello del dietrofront. Inevitabile del resto in un mercato dello streaming che per vari analisti è giunto al punto di saturazione. Da qui anche la mossa di diversificare puntando sulle offerte sostenute dalla pubblicità. Hulu lo fa dal 2007. Esistono anche esperienze particolari come quella di Pluto Tv (Paramount). (👍👍👍) Ma gli annunci di Disney (per Disney+) prima e di Netflix ora segnano un salto di qualità. Con un grattacapo in più non da poco per i broadcaster tradizionali. E non solo.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
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