STUPIDA RAZZA

venerdì 22 aprile 2022

Shock Netflix per il Nasdaq: un altro peso sul listino tech

 



L’acronimo Faang sta perdendo colpi. E lettere. Dopo la “F” di Facebook (che da qualche tempo si chiama Meta platforms e che da inizio anno ha perso il 35% in Borsa) anche la “N” di Netflix sta cadendo. Il titolo della società attiva nei servizi on-demand ieri ha subìto un crollo vicino al 40%, perdendo in poche ore 60 miliardi di dollari. Se si considera che a novembre un’azione veniva scambiata a 700 dollari i 220 battuti ieri segnano un -70% in meno di cinque mesi, peggio del -47% di Facebook (Meta) archiviato dai massimi di settembre. Dopo questo tonfo Netflix è scesa al 32esimo posto per market cap tra le aziende che compongono il Nasdaq 100. E, al pari di Facebook, i multipli di bilancio stanno crollando. L’azienda fondata da Mark Zuckerberg oggi prezza 15 volte gli utili attesi. Ai valori attuali gli investitori la considerano più una  “value stock” che una “growth stock”, dove la differenza tra la prima e la seconda categoria è rappresentata dalle potenzialità di crescita. Anche Netflix dopo la seconda deludente trimestrale consecutiva (si vedano gli approfondimenti in pagina) rischia di migrare in seconda categoria, dove i multipli viaggiano molto più in basso. Il prezzo/utili atteso è sceso a quota 24, quando nel 2021 era superiore a 50. Del resto la società ha ridimensionato dal 24% al 9% il tasso di crescita, quello che conta di più quando i mercati vanno a caccia del valore intrinseco di ciascuna azienda. La debacle di Netflix infligge un nuovo schiaffo anche al Nasdaq. Il listino tecnologico, tra i principali panieri azionari dei Paesi occidentali, è il peggiore da inizio anno con un calo del 15%. L’effetto Netflix si è visto anche ieri dato che il Nasdaq è risultato l'unico indice in rosso (di circa mezzo punto percentuale) in una giornata in cui i mercati azionari hanno invece rimbalzato. Il momento difficile del Nasdaq segue da vicino le crescenti pressioni inflazionistiche che costringono gli operatori ad aggiornare la formula con cui vanno a prezzare i titoli growth. La loro caratteristica è di essere sbilanciati sul futuro. Agli investitori non conta tanto quanti utili stanno generando nel breve, ma quanto sono in grado di moltiplicarli nel futuro. Proprio quel “fattore crescita” che Netflix sembra aver smarrito, zavorrata dalla crescente concorrenza. Warren Buffett considera i rendimenti dei Treasury a 10 anni il tasso di sconto più attendibile. Se questi sono passati dall’1,3% di dicembre all’attuale 2,85% (con una visitina nelle scorse all’area del 3%) vuol dire che l’elevato fattore crescita stimato e già incorporato nei titoli growth deve essere scontato, rivisto al ribasso. Ed è per questo che il Nasdaq sta soffrendo l’arrivo della grande inflazione negli Stati Uniti dove i prezzi al consumo sono balzati a marzo all’8,5% e non hanno ancora dato segnali di picco. Il rallentamento dell’economia in corso certificato anche dal Fondo monetario internazionale, unito alle pressioni inflazionistiche fa rima con “stagflazione”. Uno scenario economico che costringe gli investitori a prendere una decisione: o si concentrano sul pericolo di bassa crescita oppure sul pericolo di elevata inflazione. In questa fase è evidente che il focus è sulla minaccia dell’inflazione. Paradossalmente il Nasdaq potrebbe ritrovare forza solo nel momento in cui i mercati avranno iniziato a scontare l’arrivo di uno scenario recessivo. A quel punto i titoli growth potrebbero tornare a ritrovare appeal. Uno scenario che però oggi sembra lontano. Così l’acronimo Faang (che un tempo includeva Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google) oggi non esiste più. O meglio, c’è ancora, ma i protagonisti sono cambiati: secondo Merrill Lynch Faang oggi sta per Fuels (energetici), aerospace, agricolture, nuclear e gold. I settori che in questo 2022 stanno raccogliendo più capitali.





Nessun commento:

Posta un commento