STUPIDA RAZZA

domenica 3 aprile 2022

Le due guerre delle Banche centrali

 

L’inflazione tocca livelli record da capogiro nell’area dell’euro e negli Usa, e l’invasione russa in Ucraina sconvolge la geopolitica mondiale con uno shock «tettonico», come l’ha definito ieri il capo economista della Bce Philip Lane. Le due banche centrali più potenti in occidente, Bce e Federal Reserve, però non stanno combattendo queste guerre, l’inflazione e il sanguinoso conflitto militare voluto da Vladimir Putin, allo stesso modo e con gli stessi strumenti. La Fed combatte un’inflazione alta duratura e si aspetta sette rialzi nel 2022, il primo da un quarto di punto è stato deciso il 16 marzo, e almeno tre rialzi nel 2023: l’inasprimento della politica monetaria negli Usa è galoppante. Nell’area dell’euro, la Bce invece si confronta con un’inflazione alta temporaneamente, avanza cauta lungo un percorso a tappe della “normalizzazione” della politica monetaria. Ieri la Banca centrale europea ha normalizzato chiudendo il programma pandemico Pepp, lo strumento più anticonvenzionale della sua cassetta degli attrezzi (dotato di una flessibilità senza precedenti negli acquisti netti in titoli di Stato con deviazione temporanea dalla chiave capitale). Di un Pepp la Fed non saprebbe che farsene: basta il QE tradizionale senza extraflessibilità perché la chiave capitale non esiste negli Usa. Nel terzo trimestre di quest’anno, se tutto andrà come da copione, la Bce terminerà il programma di acquisti standard App mentre il primo rialzo dei tassi nell’area dell’euro dal 2011 non sarà automatico, sarà basato sui dati su inflazione, mercato del lavoro e pressioni salariali, fiducia di imprese e famiglie, la sintesi della montagna di dati provenienti dai 19 Paesi membri dell’euro. Il primo atteso rialzo dei tassi per l’euro arriverà «qualche tempo dopo» la conclusione degli acquisti netti: forse entro fine anno, forse no. Tutto dipenderà dalla durata della guerra in Ucraina, dai riflessi che avrà sui prodotti energetici, e dall’impatto che il conflitto, le sanzioni e le contromisure russe avranno sulla crescita e dunque sull’inflazione. Fed e Bce stanno combattendo guerre diverse, con tempi, modalità e strumenti differenti. L’inflazione è stata troppo alta troppo a lungo negli Usa: a metà del 2021 la core inflation americana era già al 4% e  lo scorso febbraio è salita oltre il 6%. La Bce, che fino alla pandemia ha combattuto per anni contro un’inflazione troppo bassa, vede il rialzo dei prezzi ancora temporaneo: l’inflazione di fondo a metà 2021 era sotto l’1%, lo scorso febbraio sotto il 3%. Un’altra grande differenza tra Usa e area euro sta nella frammentazione. La Fed non deve gestire la frammentazione, non deve inventarsi la “chiave capitale”, non guarda agli spread tra California e Ohio: non deve assicurarsi, come invece deve fare la Bce, che «le cinghie di trasmissione della politica monetaria funzionino bene in tutte le giurisdizioni», e non deve intervenire con strumenti speciali affinché la politica monetaria raggiunga tutti i 19 Paesi (e le famiglie e le imprese e le banche) allo stesso modo, quindi, chiudendo gli spread. La frammentazione è in agguato, pronta a scatenarsi come aggravante in tutte le grandi crisi europee: la Bce è la banca centrale di 19 Paesi che hanno unito solo la politica monetaria ma conservano 19 politiche fiscali e quindi anche 19 rischi sovrani. La Bce acquista prevalentemente titoli di Stato europei non safe assets, mentre la Fed non corre rischi di credito, acquista soprattutto Treasuries e bond garantiti dallo Stato federale. L’inflazione è troppo alta da troppo tempo negli Usa, e la Federal Reserve viene giudicata dai mercati “dietro la curva”, in ritardo, costretta ad inasprire la politica monetaria velocemente per riportare l’inflazione verso il target del 2%. La Bce, e soprattutto le colombe in Bce, non ritengono di dover rincorrere un’inflazione sfuggita al controllo, perché il picco attuale dovrebbe essere temporaneo: sulla base dei dati disponibili a metà marzo, le ultime proiezioni macroeconomiche danno un’inflazione in tre scenari (base, avverso, grave) nel 2022 al 5,1%, 5,9% e 7,1% ma nel 2024 all’1,9%, 1,6% e 1,9% rispettivamente, appena sotto il 2% che è il target di medio termine. La Bce persegue la stabilità dei prezzi ma preserva anche la stabilità finanziaria, pronta a intervenire per contrastare la frammentazione come l’inflazione, causata dalla guerra in Ucraina. 

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