Raramente è stata così alta. L’inflazione Usa, misurata dall’indice Cpi, ha raggiunto a marzo l’8,5%, in rialzo dal 7,9% di febbraio. È ai massimi da dicembre 1981, ma ha raggiunto livelli simili o più elevati in solo tre episodi: nel 1951, nella crisi petrolifera dei primi anni ’70 e in quella, immediatamente successiva tra il ’78 e l’82 (quando gli Usa caddero per due volte in recessione conclamata). L’inflazione core, che negli Stati Uniti “guida” l’indice complessivo, anticipandone le mosse, è stata pari al 6,5% dal 6,4% di febbraio. Quasi tutti i settori - con l’eccezione di alcuni prodotti tecnologici di largo consumo, a cominciare dagli smartphones e delle auto usate - registrano ormai rincari ben superiori all’obiettivo della Federal reserve: l’inflazione è dunque ad ampio spettro, da tempo non si può dunque più parlare di semplice variazione dei prezzi relativi. Non ci sono solo fattori sul lato dell’offerta, infatti, a spingere i prezzi, ma anche importanti elementi della domanda domestica. Non a caso la Fed - che in realtà preferisce usare un altro indice, il Pce, per valutare l’andamento dei prezzi - ha già iniziato la sua stretta, con l’obiettivo, al momento, di normalizzare la politica monetaria. È possibile che quello di marzo sia un picco: i prezzi dell’energia hanno cominciato a calare ad aprile - scrive Edoardo Campanella di UniCredit Macro Research in una nota - grazie alle misure prese dall’amministrazione Biden, e l’effetto puramente statistico dell’aumento dell’indice (l’effetto base) dovrebbe essersi esaurito. Questo non significa però che la stretta potrà rallentare, anzi: i salari orari reali sono calati del 2,7% annuo a marzo e, per evitare gli «effetti di secondo impatto» (i second round effects) - continua Campanella - la Fed dovrà continuare ad aumentare i tassi. Un rialzo di mezzo punto, a maggio, sarebbe coerente con i dati di ieri. La politica monetaria più aggressiva - anche se probabilmente già in ritardo - negli Stati Uniti che altrove sta però avendo un forte impatto sui mercati finanziari e in modo particolare sulle valute. Il ministro delle Finanze giapponese, Shunichi Suzuky, ha rivelato ieri di essere in stretto contatto con gli Stati Uniti e con altri paesi per monitorare l’andamento dei cambi. Lo yen ha raggiunto il minimo da sei anni: ne occorrono più di 125 per acquistare un dollaro e, a questi livelli, il paese importa inflazione. I prezzi all’ingrosso sono risultati ieri in rialzo del 9,5% annuo, contro le attese di un 9,3 per cento, dal 9,7% di febbraio. L’inflazione al consumo non ha ancora raggiunto però la soglia del 2% - anche se potrebbe presto avvicinarsi - e sarebbe complicato per la Nippon Ginko, la banca centrale, irrigidire la politica monetaria. Parzialmente diversa la situazione in India, dove l’inflazione al dettaglio, ha accelerato fino al 7% a marzo raggiungendo il massimo da 17 mesi. È il terzo mese consecutivo che che la crescita dell’indice dei prezzi supera il livello massimo della banda di tolleranza della Banca centrale che ora potrebbe intervenire e aumentare i tassi di interesse ufficiali.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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