Stai con la
Russia o l’Ucraina?». Anche quando
non vi ene
espressa direttamente, questa domanda ormai da settimane
aleggia su tutti i programmi televisivi d’i n fo r m a z io -
ne, sguscia fra gli articoli di
giornale, impesta i social
media, s’infiltra persino
nelle conversazioni fra conoscenti al bar. Il tono indagatore con cui viene
posta ricorda quello utilizzato
qualche mese fa per chiedere:
«Hai fatto il vaccino?», e la risposta ovviamente è utile a
schedare l’interlocutore. Perché i buoni, le persone civili e
presentabili, ovviamente si
sono vaccinate, e stanno con
l’Ucraina. Potremmo chiamarla «trappola dello stadio»:
oggi è richiesto di fare il tifo, di
schierarsi acriticamente, di
prendere parte, o di qua o di
là.
Ebbene, forse è giunto il
momento che qualcuno rivendichi il diritto di scegliere
u n’opzione diversa. La più
semplice, financo banale, ma
anche l’unica utile e intelligente. Tra Russia e Ucraina,
stiamo con l’Italia. Chissà,
forse non si tratta di una dichiarazione d’intenti all’a ltezza del clima da grandi manovre ormai dominante. Forse i nostri politici ritengono
che un atteggiamento del genere sia eccessivamente provinciale: vogliono farsi belli
sulla scena internazionale, e
amano avvolgersi nelle bandiere altrui. Comunque sia,
pare che nessuno sia intenzionato a proferire queste parole
cristalline: io sto con l’Ita l i a .
Enrico Letta discetta sul
Corriere della Sera d’i m p robabili confederazioni europee che dovrebbero includere
praticamente tutti gli Stati ex
sovietici. Persino R om an o
Prod i si prende la briga di
concedere un’intervista per
far sapere che lui, se fosse premier, acconsentirebbe a imporre nuove sanzioni su petrolio e gas russi (ma pensa:
qualcuno forse s’i m m a g i n ava
qualcosa di diverso?). Tutti gli
altri, da settimane, s’avventu -
rano in analisi spericolate, in
complicati esami della mente
di Puti n , fanno a gara a chi si
spella più le mani battendole
per Z el e n s ky. Ma il tema vero
resta sempre lì, evitato da tutti: è l’Ita l i a?
Non appena si richiama
l’interesse nazionale, c’è sempre qualcuno pronto a scoccare l’accusa di cinismo. C’è
sempre un editorialista o un
esponente di partito sinceramente democratico pronto a
dichiarare che, laddove la libertà sia in pericolo, siamo
chiamati a intervenire. C’è
sempre un attivista ucraino -
spesso residente in Italia da
anni, e dunque lontano dalle
bombe - pronto a sostenere
che noi non possiamo rimanere a bagno nel nostro benessere e abbiamo il dovere di fare
di più. Pensare all’Italia è da
egoisti, dicono, e intanto chiedono sacrifici, anzi li impongo n o.
Forse, però, è ora di dirsi la
verità. In questo conflitto la
democrazia e la libertà non
c’entrano nulla. Puti n non sta
minacciando l’intera Europa
come un H i tl e r o uno Sta l i n
redivivo: sta regolando i conti
con uno Stato che considera
una specie di satellite e che,
dal 2014 in avanti, è stato utilizzato dagli Stati Uniti come
un pungolo elettrico utile a indispettire l’orso russo. L’Ucraina non fa parte della Nato,
e nemmeno dell’Unione Europea. Dunque - se gli accordi e
le alleanze internazionali valgono qualcosa - in linea teorica questo conflitto non ci riguarda. Altrimenti dovrebbero riguardarci anche altre
guerre di cui allegramente ci
disinteressiamo (per lo Yemen martoriato nessuno si fa
palpitare il cuore).
Si tratta di una questione
umanitaria a cui non possiamo restare indifferenti? Ottimo. E allora dovremmo - anzi,
avremmo dovuto perché ormai è tardi - far sentire la nostra voce affinché l’Eu ro pa ,
invece di diventare cobelligerante, operasse attivamente
sul fronte diplomatico, dimostrando così di servire a qualcosa. L’occasione, purtroppo,
è persa, e altri trattano al posto nostro, o fingono di farlo.
Certo: possiamo continuare finché vogliamo a fare sfoggio di emotività. La guerra è
s e n z’altro un ottimo carburante per liti catodiche o per
discussioni al bancone. Ma alla Storia, della nostra emotività, importa un fico secco. Non
è sparandola grossa o facendo
i fenomeni che risolveremo la
situazione. Al massimo, le dichiarazioni roboanti possono
servire a qualche politico o capo partito per tentare di accaparrarsi uno scranno di rilievo alla Nato.
Resterebbe una sola cosa
utile da fare: occuparsi dell’Italia. Come hanno riportato
praticamente tutti i media, già
le nostre previsioni di crescita
sono stare riviste al ribasso: -
1,5% nel 2022 rispetto alle stime. Aziende e privati cittadini
devono ancora riprendersi
dallo choc del Covid, vengono
regolarmente massacrati dalle bollette esplose, e il peggio
deve ancora venire. Se daremo retta ai furbastri come
Pro d i , rinunciando al gas russo saremo condannati ad affrontare pesanti conseguenze. I primi (per ora blandi) razionamenti energetici già ci
attendono al varco, per la gioia
diAlessandro Gassmanne degli altri «amici del condizionatore». Sapete che significa?
Che la guerra la pagheranno
soprattutto i poveri cristi. Uomini, donne, anziani e famiglie con stipendi bassi, che
verranno ulteriormente penalizzati. È a queste persone
che i politici italiani devono
risposte, e le devono subito.
Gli ucraini sono intenzionati a combattere fino all’ulti -
ma stilla di sangue? Fanno bene, l’eroismo di alcuni di loro è
ammirevole, che indossino o
meno le svastiche. Ma a quanti
di loro ci fanno la morale, forse dovremmo rispondere che
qui non tutti vivono nella villa
con piscina accendendosi i sigari con le banconote. Siamo,
al contrario, una nazione provata e con poche prospettive
di miglioramento, e dobbiamo renderci conto che il nostro benedetto «stile di vita» -
tanto spesso chiamato in causa - non si difende a Mariupol,
ma a Milano, Roma, Napoli,
Bari, Bologna e via dicendo.
Opporsi all’aumento (in
questo frangente) delle spese
militari o all’introduzione di
ulteriori sanzioni su gas e petrolio significa schierarsi con
Puti n? No, significa pensare
all’interesse della nostra nazione. Non chiediamo agli
ucraini di cessare la lotta per il
nostro bene. E di certo non ci
aspettiamo che siano gli Stati
Uniti a occuparsene, anche
perché l’amministrazione Biden ha già dimostrato di considerarci sacrificabili. Difendere il nostro popolo spetta a
noi: non è egoismo, è un dovere.
«Gloria all’Ucraina!», gridano i nostri. E sanno bene
che significa «povertà per l’Ita l i a » .
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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