STUPIDA RAZZA

mercoledì 29 giugno 2022

Banche centrali in ordine sparso: così muovono le scelte in Borsa

 

Paese in cui vai, politica monetaria che trovi. In questo delicato momento storico le banche centrali delle tre principali aree economiche (Usa, Eurozona e Cina) stanno procedendo a velocità e/o direzioni differenti. Disegnando potenzialmente scenari diversi nei rispettivi mercati azionari, le cui performance negli ultimi anni sono state condizionate proprio dalla quantità di liquidità che le banche centrali hanno via via deciso di mettere o togliere dal piatto. Tra Usa ed Eurozona sembrano i primi ad essere meglio posizionati per un futuro recupero. Uno spunto a cui si arriva analizzando lo spread tra i tassi di Usa e Germania, che viaggia a 160 punti. È vero che recentemente si è ridotto (a maggio era a 200) ma resta comunque elevato (i rendimenti dei Treasury a 10 anni sono al 3,2% mentre quelli dei Bund, che fino a marzo erano addirittura negativi, sono all’1,6%). Nel primo caso la Fed si è portata avanti alzando i tassi di 150 punti base da marzo mentre la Bce dovrebbe iniziare il  proprio percorso a luglio con il primo ritocco da 25 punti base dopo 11 anni. E poi c’è la Cina che dall’altra parte del mondo, anziché fare tightening, procede nella direzione opposta avendo annunciato a maggio un taglio di 15 punti base del tasso a 5 anni, un benchmark importante per il mercato locale dei mutui. Le tre principali aree economiche globali quindi stanno marciando a livello monetario con passi diversi: per gli Usa la lotta all’inflazione è paragonabile a una corsa dei 100 metri. Il passo della Bce è invece più quello di un maratoneta. Mentre la People’s Bank of China si sta preoccupando più del rallentamento economico che non della (dalle loro parti minore) inflazione. Dato che la liquidità sui mercati è sovrana, i gestori stanno osservando da vicino queste dinamiche. Stando a queste sembrerebbe che in questo momento il risk-on, quell mood di investimento più ottimista verso il mercato azionario, abbia più spazio in Cina, considerato che è l’unica grande area economica che sta attuando un allentamento monetario. Tra Stati Uniti ed Eurozona, che in Borsa fanno rima con S&P500 ed Eurostoxx 50, il mercato che sembra avere in canna più forza relativa è il primo. Perché la Fed si è portata avanti con il lavoro di far digerire agli investitori le strette monetarie. E poi perché negli Usa, a differenza dell’Eurozona, l’inflazione è maggiormente originata dalla domanda che non dall’offerta. Di conseguenza la manovra della banca centrale può risultare più incisiva ed efficace nel frenarla. Sia ben chiaro, avere maggiore forza relativa non vuol dire che Wall Street automaticamente è destinata a salire, ma potrebbe anche voler significare che potrebbe “perdere meno” qualora l’attuale mercato orso dovesse proseguire. A conti fatti gli ostacoli che dovrà superare l’Eurozona sembrano più alti rispetto a quelli di Cina e Stati Uniti. Forse anche per questo nei giorni scorsi Bridgewater, il fondo hedge del noto investitore Ray Dalio, ha raddoppiato a 10,5 miliardi la scommessa ribassista (con apertura di posizioni short) contro le principali società europee contenute nel paniere Eurostoxx 50. Perché a suo giudizio le probabilità che la stagflazione - quel brutto connubio macro fatto di inflazione e stagnazione - colpisca l’Europa sono ad oggi più elevate che negli Stati Uniti e in Cina. Nell’Eurozona infatti la forbice tra prezzi alla produzione e prezzi al consumo - anticamera di ulteriori potenziali pressioni inflazionistiche - è a 2.900 punti mentre negli Usa si attesta a 220 punti e in Cina a 430. Numeri troppo distanti per non finire nel taccuino dell’investitore consapevole che sta cercando di capire quando (e in quale area geografica per prima) il focus si sposterà dalla lotta all’inflazione alla crescita.

Nessun commento:

Posta un commento