STUPIDA RAZZA

giovedì 30 giugno 2022

L’Italia rischia di perdere 500 concessionari

 

N o, non durerà. Se si prova a sottoporre i dati di Italia Bilanci su occupazione e costo del lavoro nelle concessionarie ad Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto (l’associazione della categoria), si ricava la sensazione che appartengano a una fase ormai finita: d’ora in avanti, potrebbero arrivare solo tagli. «Vuole una mia previsione? Oggi noi concessionari siamo 1.260, tra due anni rischiamo di essere meno di 800. E non è che i dipendenti che rischiamo di essere lasciati a casa da chi è destinato a chiudere abbiano tante possibilità di essere riassorbiti da chi resta». Perché? Non potrebbe esserci una concentrazione del mercato nelle mani di pochi operatori, organizzati spesso come gruppi aziendali sempre più grandi? In fondo, nel settore c’è stata una crescita dimensionale notevole, tanto che chi prima era considerato grande e ha mantenuto invariato il fatturato ora viene considerato solo un operatore medio... Sì, oggi per essere considerati grandi bisogna avere almeno 200 milioni di fatturato, cosa impensabile prima. Ma il fatturato non dice tutto, specie nel settore auto: vendiamo beni costosi (sono la prima voce di spesa di una famiglia, dopo la casa) e quindi fatturiamo tanto, ma i nostri margini sono bassi. Tanto che, se rifacciamo i conti del costo del lavoro in percentuale sui margini di vendita delle auto anziché sul fatturato, otteniamo un 60-70% invece del 4-6%. Guadagnamo ben più dalle attività di officina. Non vi basta? No, i grossi numeri restano quelli legati alle vendite. E qui, come prevedono molti, l’Italia si avvia a diventare un mercato da 1,5 milioni di nuove immatricolazioni all’anno, mentre la nostra attuale forza lavoro è dimensionata su circa due milioni di auto vendute e i dati di occupazione elaborati da Italia Bilanci riflettono questi. Né possiamo sperare che le vendite risalgano: tra il prezzo fisso che le case vogliono imporre, l’inflazione e gli obblighi di elettrificazione, nuove dotazioni di sicurezza e sistemi antinquinamento sempre più sofisticati, i prezzi saranno sempre meno abbordabili, mentre il successo anche degli ultimi incentivi per auto a benzina e diesel dimostra che il pubblico risponde solo se può spendere “poco”. Non solo: dal 2019 le case ci hanno chiesto un impegno ancora maggiore sul personale, sia sull’assistenza post vendita (in certi casi si è passati da un addetto ogni tre vetture presenti in officina a circa 1,5) sia nello showroom (a volte con uno specialista da impiegare per rispondere a tutte le possibili domande sul prodotto, che è sempre più complesso). Non è strano, visto che molte case abbandoneranno gli attuali contratti di concessione per passare quelli da commissionari o agenti, che presuppongono una struttura più leggera? Lo è. Tanto più che, da quanto le case dicono, dovremmo eliminare anche buona parte dei nostri addetti amministrativi, visto che non dovremmo più essere impegnati nella fatturazione al cliente finale, che diventerebbe compito del costruttore. e in altre attività connesse nel nostro attuale ruolo di concessionari, venditori autonomi. Forse la spiegazione della stranezza sta in alcune clausole dei nuovi contratti, che di fatto sembrano lasciare a noi compiti che non ci spettano più. Prima o poi interverrà l’Antitrust, ma a qual punto temo che sarà già troppo tardi: molti di noi avranno già dovuto chiudere. 

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