La guerra ha risvegliato lo spettro della stagflazione e della sfiducia nel futuro
L
a fiducia degli imprenditori nel secondo
trimestre precipita in area negativa e torna
ai livelli del secondo lockdown Covid.
Nei primi sei anni di rilevazione
dell’Ambrosetti Club Economic Indicator,
l’Indicatore sviluppato da The European
House – Ambrosetti per misurare la confidenza attuale
e prospettica degli imprenditori sullo stato
dell’economia nel Paese, non avevamo praticamente
mai assistito a valori negativi. Poi, da inizio 2020,
prima la pandemia e poi la guerra in Ucraina hanno
acuito l’incertezza, portato alla ribalta problemi e
criticità che avevamo quasi dimenticato (quando è
stata l’ultima volta che ci siamo seriamente
preoccupati per l’inflazione?) e, conseguentemente,
spinto al ribasso le previsioni.
A giugno 2022 l’Indicatore che rileva la fiducia nella
situazione attuale del business è tornato in territorio
negativo, assumendo un valore pari a -21,1 (su una
scala -100/100, dove -100 è il valore che indica il
massimo pessimismo e 100 il massimo ottimismo).
Si tratta del terzo peggior risultato di sempre. Un
pessimo segnale, ma ampiamente
atteso. Le avvisaglie si erano viste
nel primo trimestre (riduzione di
quasi 30 punti rispetto al quarto
trimestre 2021), e il trend non
poteva che continuare.
Le condizioni sfavorevoli esplose
con l’invasione russa in Ucraina, e
che per alcuni mesi abbiamo potuto
illuderci essere temporanee, si
sono dimostrate non esserlo per
niente. Non stiamo vivendo una
temporanea ondata inflattiva e non
ci stiamo avvicinando a una rapida
conclusione della crisi ucraina. Ogni esperto di
geopolitica e dei relativi impatti socio-economici
coinvolto nei programmi di analisi scenariale concorda
nel ritenere che la guerra sarà lunga e le ripercussioni
su sicurezza alimentare, energetica, inflazione e flussi
migratori saranno profonde e durature.
Il combinato di altissima inflazione energetica (il
livello dei prezzi a maggio è 1,7 volte il livello di un anno
prima), alta inflazione diffusa (+7,3% a maggio) e
grande incertezza hanno spinto al ribasso le
prospettive di crescita per il 2022. Secondo il
Documento di economia e finanza del Mef la crescita
2022 sarà pari al 3,1%, secondo la stima di giugno
dell’Ocse sarà del 2,5% e anche secondo The European
House – Ambrosetti la crescita sarà tra 2,3% e 2,8 per
cento.
Questo incrocio pericoloso con un’inflazione un
multiplo più alta del tasso di crescita del Pil sta
costringendo tutti a riesumare un termine,
stagflazione, che avevamo archiviato negli anni 70.
La stagflazione è la situazione in cui si hanno alta
inflazione e bassa (o scarsa) crescita, ed è una
condizione complessa da
affrontare perché i tipici strumenti
di politica monetaria ed economica
possono rispondere a solo uno dei
due problemi, potenzialmente
inasprendo l’altro. Ad esempio, la
Fed ha già alzato i tassi di 0,75 e ha
annunciato altri rialzi, mentre la
Bce ha annunciato la fine degli
acquisti di titoli e l’inizio del
percorso di rialzo dei tassi già a
luglio e poi a settembre, una mossa
naturale nella lotta all’inflazione.Il
contraltare è che l’aumento dei tassi è un elemento che disincentiva gli investimenti, e
quindi la crescita. Questo si nota anche dall’indicatore
che misura le prospettive degli investimenti a sei mesi.
Dopo un anno di valori molto elevati e grande fiducia
(anche grazie al Pnrr) si scende in territorio negativo.
La disamina si completa analizzando l’indicatore che
misura le prospettive dell’occupazione a sei mesi, che
assumendo valori pari a -22,8 certifica la sfiducia
anche in questo contesto. L’analisi del quadro
occupazionale porta a un’ultima riflessione. Il 60% del
Pil è costituito dai consumi delle famiglie che
dipendono, a loro volta, dai salari. I dati Ocse
evidenziano come, nell’ultimo trentennio, i salari reali
in Italia si siano ridotti del 2,9%, mentre nel resto dei
Paesi occidentali sono cresciuti, talvolta a doppia cifra.
Aggiungo che la soglia di povertà calcolata dall’Istat –
per le famiglie monocomponente – varia tra 613 e 812
euro, a seconda della collocazione geografica.
L’importo medio del Reddito di cittadinanza ammonta
a 563 euro. Non intendo addentrarmi in discussioni
sulla validità o meno dello strumento, sulla necessità di
eventuali correttivi o altro: mi limito a osservare che
questo ammontare non permette di uscire dalla soglia
di povertà. Sostenere che questo strumento sia
concorrenziale ai salari equivale a dire che tali salari
condannano alla povertà: se i nostri livelli salariali
sono così bassi, non c’è speranza di poter innescare
una crescita dei consumi e, quindi, del Pil dell’intero
Paese. Siamo appena saliti su un ottovolante
pericoloso: allacciamo le cinture di sicurezza.
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