STUPIDA RAZZA

giovedì 30 giugno 2022

La guerra ha risvegliato lo spettro della stagflazione e della sfiducia nel futuro

 



L a fiducia degli imprenditori nel secondo trimestre precipita in area negativa e torna ai livelli del secondo lockdown Covid. Nei primi sei anni di rilevazione dell’Ambrosetti Club Economic Indicator, l’Indicatore sviluppato da The European House – Ambrosetti per misurare la confidenza attuale e prospettica degli imprenditori sullo stato dell’economia nel Paese, non avevamo praticamente mai assistito a valori negativi. Poi, da inizio 2020, prima la pandemia e poi la guerra in Ucraina hanno acuito l’incertezza, portato alla ribalta problemi e criticità che avevamo quasi dimenticato (quando è stata l’ultima volta che ci siamo seriamente preoccupati per l’inflazione?) e, conseguentemente, spinto al ribasso le previsioni. A giugno 2022 l’Indicatore che rileva la fiducia nella situazione attuale del business è tornato in territorio negativo, assumendo un valore pari a -21,1 (su una scala -100/100, dove -100 è il valore che indica il massimo pessimismo e 100 il massimo ottimismo). Si tratta del terzo peggior risultato di sempre. Un pessimo segnale, ma ampiamente atteso. Le avvisaglie si erano viste nel primo trimestre (riduzione di quasi 30 punti rispetto al quarto trimestre 2021), e il trend non poteva che continuare. Le condizioni sfavorevoli esplose con l’invasione russa in Ucraina, e che per alcuni mesi abbiamo potuto illuderci essere temporanee, si sono dimostrate non esserlo per niente. Non stiamo vivendo una temporanea ondata inflattiva e non ci stiamo avvicinando a una rapida conclusione della crisi ucraina. Ogni esperto di geopolitica e dei relativi impatti socio-economici coinvolto nei programmi di analisi scenariale concorda nel ritenere che la guerra sarà lunga e le ripercussioni su sicurezza alimentare, energetica, inflazione e flussi migratori saranno profonde e durature. Il combinato di altissima inflazione energetica (il livello dei prezzi a maggio è 1,7 volte il livello di un anno prima), alta inflazione diffusa (+7,3% a maggio) e grande incertezza hanno spinto al ribasso le prospettive di crescita per il 2022. Secondo il Documento di economia e finanza del Mef la crescita 2022 sarà pari al 3,1%, secondo la stima di giugno dell’Ocse sarà del 2,5% e anche secondo The European House – Ambrosetti la crescita sarà tra 2,3% e 2,8 per cento. Questo incrocio pericoloso con un’inflazione un multiplo più alta del tasso di crescita del Pil sta costringendo tutti a riesumare un termine, stagflazione, che avevamo archiviato negli anni 70. La stagflazione è la situazione in cui si hanno alta inflazione e bassa (o scarsa) crescita, ed è una condizione complessa da affrontare perché i tipici strumenti di politica monetaria ed economica possono rispondere a solo uno dei due problemi, potenzialmente inasprendo l’altro. Ad esempio, la Fed ha già alzato i tassi di 0,75 e ha annunciato altri rialzi, mentre la Bce ha annunciato la fine degli acquisti di titoli e l’inizio del percorso di rialzo dei tassi già a luglio e poi a settembre, una mossa naturale nella lotta all’inflazione.Il contraltare è che l’aumento dei tassi è un elemento che disincentiva gli investimenti, e quindi la crescita. Questo si nota anche dall’indicatore che misura le prospettive degli investimenti a sei mesi. Dopo un anno di valori molto elevati e grande fiducia (anche grazie al Pnrr) si scende in territorio negativo. La disamina si completa analizzando l’indicatore che misura le prospettive dell’occupazione a sei mesi, che assumendo valori pari a -22,8 certifica la sfiducia anche in questo contesto. L’analisi del quadro occupazionale porta a un’ultima riflessione. Il 60% del Pil è costituito dai consumi delle famiglie che dipendono, a loro volta, dai salari. I dati Ocse evidenziano come, nell’ultimo trentennio, i salari reali in Italia si siano ridotti del 2,9%, mentre nel resto dei Paesi occidentali sono cresciuti, talvolta a doppia cifra. Aggiungo che la soglia di povertà calcolata dall’Istat – per le famiglie monocomponente – varia tra 613 e 812 euro, a seconda della collocazione geografica. L’importo medio del Reddito di cittadinanza ammonta a 563 euro. Non intendo addentrarmi in discussioni sulla validità o meno dello strumento, sulla necessità di eventuali correttivi o altro: mi limito a osservare che questo ammontare non permette di uscire dalla soglia di povertà. Sostenere che questo strumento sia concorrenziale ai salari equivale a dire che tali salari condannano alla povertà: se i nostri livelli salariali sono così bassi, non c’è speranza di poter innescare una crescita dei consumi e, quindi, del Pil dell’intero Paese. Siamo appena saliti su un ottovolante pericoloso: allacciamo le cinture di sicurezza.

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