STUPIDA RAZZA

giovedì 23 giugno 2022

Il gas è un incubo, l’inflazione un flagello

 

Mentre l’agenzia internazionale dell’energia lancia l’allarme, il Consiglio Ue che parte oggi rimanda tutte le decisioni a settembre. Assieme a un mini taglia-bollette, il governo si limita a prorogare a marzo 2023 la tassa sugli profitti. Intanto l’i n f l a z io n e comincia a mordere le spese incomprimibili. Anche l’ad di Tim lancia l’allarme sull’adeguamento dei prezzi. L’8 maggio del 2021 La Verità ti - tolava: «L’i nf lazione è già qui, prepariamoci a pagarla». Una semplice analisi che si limitava a unire i puntini del post pandemia. «Usa e Cina spingono i prezzi delle materie prime, dall’acciaio al rame fino a stagno e legno», scrivevamo. Per l’Italia e l’Ue il problema è doppio: «Importiamo beni troppo cari mentre perdiamo potere d’acquisto, in più l’export cede competitività». A quel punto, dopo aver posto alcuni interrogativi sulle scelte delle Banche centrali, ci si limitava a chiedere maggiore sovranità per contrastare l’in - flazione. Già allora non era difficile capire che si era di fronte alle fase due della pandemia e alla necessaria comprensione che la sicurezza nazionale non sarebbe passata solo dai vaccini ma anche dal possesso o dal controllo della filiera delle materie prime. In fondo, vaccini, microchip o marmitte catalitiche si producono allo stesso modo. Eppure lo scorso anno come oggi il sistema rimane basato su una filiera lunga e spesso spezzata su due o tre continenti. Al contrario chi come Usa e Cina è riuscito a comprimere la filiera sul proprio territorio sovrano riuscirà a garantirsi una marcia in più. Ne l l ’ultimo anno, la Cina ha scelto una strada di chiusura, mentre gli Usa hanno spinto il piede sull’acceleratore della guerra. L’Europa è rimasta tendenzialmente ferma. Schiacciata tra i due estremi e, dopo l’invasione dell’Uc rai n a da parte della Russia, esposta pure al fianco Est. Nel frattempo - è bene ricordarlo ora che l’inflazione è esplosa - le autorità finanziarie sono andate avanti a negare l’inflazione o a definirla un colpo di tosse passeggero fino all’ultimo. Praticamente fino al momento in cui hanno deciso di cambiare rotta e alzare i tassi d’i nte re s s e con l’intento di comprimere i consumi e schiacciare verso il basso il costo del denaro. Il problema è che, in tempo di guerra economica, non bastano le mosse finanziarie né monetarie. Bisogna tornare a essere padroni della filiera produttiva. Dal gas all’energia fino alle barre d’acciaio. Passando per grano, farina o microchip. Anche se la situazione è veramente complessa non possiamo non notare che l’Ue e i governo europei si sono trastullati con il Recovery plan e con i bonus o l’italianissimo reddito di cittadinanza. Fino ad arrivare agli estremi del Pd che si è spinto a dare la colpa a Vladi - mir Putindell’attuale inflazione. La guerra è stata ulteriore benzina sul fuoco, ma sappiamo tutti che il Pnrr è debito che produce inflazione che a sua volta si somma su quella importata dall’estero. Risultato, solo adesso ci accorgiamo che l’inflazione comincia a mordere la vita di tutti i giorni. La benzina oltre ai 2 euro al litro spinge gli automobilisti a ridurre il più possibile gli spostamenti. Al supermercato nelle ultime settimane hanno cominciato ad apparire confezioni di pasta con il prezzo invariato ma dal peso ridotto anche del 30%. La pratica ha un nome preciso in inglese, shrink Inflation, da noi sgrammatura. Serve a non far percepire l’aumento dei prezzi. Un passaggio psicologico che spiega tante cose della dinamica tra aziende e clienti. Una pratica possibile solo in certi settori. Altri hanno tenuto duro fino a oggi. Il problema è che ormai siamo arrivati al punto di non ritorno. La tassa inflattiva adesso ricadrà sulle spalle dei cittadini. A dirlo è P ietro L a b r iol a , ad di Tim, in occasione della relazione annuale davanti all’organo di vigilanza. «Come già accaduto in numerosi Paesi europei, si possono prevedere adeguamenti verso l’alto e indicizzazioni all’infla - zione dei prezzi delle offerte Tlc retail e wholesale», ha detto l’ad parlando sia dei costi finali per gli utenti comuni, sia delle tariffe per le società telefoniche che si appoggiano alla rete Tim. La preoccupazione ai vertici delle Tlc è che la sostenibilità del settore sia messa a rischio dal contesto di mercato. L a b r iol a ha ricordato che Tim «è il secondo consumatore a livello nazionale di energia, ma non siamo considerati azienda energivora perché il consumo di energia è distribuito sul territorio». Ha infine tenuto a precisare che è il momento di «rivedere le priorità del settore rispetto al passato e il modello industriale, abbandonando la guerra dei prezzi e le logiche di distruzione del valore, puntando invece a strategie di posizionamento premium improntato alla logica: valore rispetto ai volumi». L’i nte rvento di Labr iola non è per nulla secondario. Lancia due alert importanti. Primo, l’uso dei telefoni e dei dati è ormai parte integrante della vita degli italiani e non è un consumo comprimibile. Secondo, se il business delle Tlc non è sostenibile si ferma lo sviluppo del Paese, un bel pezzo di Pnrr. Con tutto ciò che ne deriva. Restando sul tema, sempre La - br iola ha evidenziato che il progetto di separazione della rete è basato su considerazioni industriali e ha l’obiettivo di creare entità autonome, più efficaci e competitive di quanto non lo siano restando integrate in un’unica società. Ciò potrebbe portare a sinergie, risparmi, in poche parole a un mini salvagente contro l’infla - zione. Il tema è però uno solo: l’urgenza. Tutti i dossier che sono in mano alla politica non possono più essere rimandati. L’inflazione corre e i portafogli si svuotano. 

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