STUPIDA RAZZA

giovedì 30 giugno 2022

Borse europee in frenata con inflazione, Fed e dati macro

 

Di tre cose hanno paura i mercati finanziari: dell’inflazione, di una risposta troppo aggressiva delle banche centrali per combatterla e della recessione che questa risposta potrebbe causare. Ieri sono arrivate potenziali conferme a tutte e tre le preoccupazioni: inflazione in forte rialzo in Spagna e Belgio (ma in calo in Germania), indicatori preoccupanti sulla tenuta dei consumi negli Stati Uniti e dichiarazioni molto nette da parte dei banchieri centrali. Così, pur sballotatte e talvolta concentrate sul bicchiere mezzo pieno, le Borse europee hanno chiuso in calo: Milano -1,21%, Parigi -0,90%, Francoforte -1,73%. Altalenanti tra il segno più e il segno meno dopo i crolli di martedì le Borse americane, che comunque si apprestano a chiudere il peggior primo semestre dal 1970 (-19,9% fino ad ora quest’anno, contro il -21,01% di allora). La giornata è stata emblematica per capire i punti deboli e le speranze dei mercati. Ad appesantirli, sin dal mattino, era stato il drastico calo della fiducia dei consumatori americani (ai minimi dal 2013) di martedì. Ieri è poi arrivata la revisione (al ribasso a -1,6%) del Pil Usa del primo trimestre: anche questo dato, il cui calo è stato causato proprio dalla revisione al ribasso della componente consumi, ha pesato sulle Borse. In entrambi i casi il messaggio che arriva è chiaro: l’economia statunitense sta rallentando. Primo timore dei mercati: confermato. Poi sono arrivati dati sul fronte dell’inflazione. Quella spagnola ha superato le attese: era prevista a 8,7% ed è uscita a 10,2%, massimo da 37 anni. Anche in Belgio è uscita oltre le attese a 9,6%, ai massimi dal 1982. In controtendenza invece l’inflazione tedesca, uscita a 7,6% sotto le stime che la prevedevano all’8%. Questo dato ha un po’ dato sollievo alle Borse ieri, ma per poco. A ben guardare, infatti, a questo buon dato hanno contribuito fattori una tantum, come lo sconto di tre mesi sui biglietti dei trasporti pubblici e i primi tagli voluti dal Governo al prezzo della benzina. In fin dei conti, anche il secondo timore dei mercati è stato dunque confermato. Ma il piatto forte è arrivato da Sintra in Portogallo, dove erano riuniti i banchieri centrali. Le dichiarazioni più significative sono arrivate dal presidente Fed. Jerome Powell ha infatti confermato le preoccupazioni dei mercati: l’obiettivo della Fed è di far rallentare l’economia per combattere l’inflazione. Powell non parla di recessione (dice anzi che l’economia è «in buona forma»), ma il mercato la teme. E questo timore è chiaro nell’andamento dei rendimenti dei titoli di Stato, scesi (nonostante l’inflazione alta) anche ieri rispetto a martedì: da 1,63% a 1,52% in Germania, da 3,66% a 3,51% in Italia, da 3,21% a 3,09% in serata negli Usa. Questo significa che i mercati sono convinti che la Fed, alzando i tassi con forza ora, causerà un brusco rallentamento dell’economia e dunque sarà costretta a tagliare i tassi in futuro. Ecco perché le Borse americane, tra le notizie negative, hanno galleggiato durante la giornata anche in terreno positivo. Dopo la “nottata” dei tassi, insomma, guardano già all’alba.

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