Di tre cose hanno paura i mercati finanziari: dell’inflazione, di una risposta troppo aggressiva delle banche centrali per combatterla e della recessione che questa risposta potrebbe causare. Ieri sono arrivate potenziali conferme a tutte e tre le preoccupazioni: inflazione in forte rialzo in Spagna e Belgio (ma in calo in Germania), indicatori preoccupanti sulla tenuta dei consumi negli Stati Uniti e dichiarazioni molto nette da parte dei banchieri centrali. Così, pur sballotatte e talvolta concentrate sul bicchiere mezzo pieno, le Borse europee hanno chiuso in calo: Milano -1,21%, Parigi -0,90%, Francoforte -1,73%. Altalenanti tra il segno più e il segno meno dopo i crolli di martedì le Borse americane, che comunque si apprestano a chiudere il peggior primo semestre dal 1970 (-19,9% fino ad ora quest’anno, contro il -21,01% di allora). La giornata è stata emblematica per capire i punti deboli e le speranze dei mercati. Ad appesantirli, sin dal mattino, era stato il drastico calo della fiducia dei consumatori americani (ai minimi dal 2013) di martedì. Ieri è poi arrivata la revisione (al ribasso a -1,6%) del Pil Usa del primo trimestre: anche questo dato, il cui calo è stato causato proprio dalla revisione al ribasso della componente consumi, ha pesato sulle Borse. In entrambi i casi il messaggio che arriva è chiaro: l’economia statunitense sta rallentando. Primo timore dei mercati: confermato. Poi sono arrivati dati sul fronte dell’inflazione. Quella spagnola ha superato le attese: era prevista a 8,7% ed è uscita a 10,2%, massimo da 37 anni. Anche in Belgio è uscita oltre le attese a 9,6%, ai massimi dal 1982. In controtendenza invece l’inflazione tedesca, uscita a 7,6% sotto le stime che la prevedevano all’8%. Questo dato ha un po’ dato sollievo alle Borse ieri, ma per poco. A ben guardare, infatti, a questo buon dato hanno contribuito fattori una tantum, come lo sconto di tre mesi sui biglietti dei trasporti pubblici e i primi tagli voluti dal Governo al prezzo della benzina. In fin dei conti, anche il secondo timore dei mercati è stato dunque confermato. Ma il piatto forte è arrivato da Sintra in Portogallo, dove erano riuniti i banchieri centrali. Le dichiarazioni più significative sono arrivate dal presidente Fed. Jerome Powell ha infatti confermato le preoccupazioni dei mercati: l’obiettivo della Fed è di far rallentare l’economia per combattere l’inflazione. Powell non parla di recessione (dice anzi che l’economia è «in buona forma»), ma il mercato la teme. E questo timore è chiaro nell’andamento dei rendimenti dei titoli di Stato, scesi (nonostante l’inflazione alta) anche ieri rispetto a martedì: da 1,63% a 1,52% in Germania, da 3,66% a 3,51% in Italia, da 3,21% a 3,09% in serata negli Usa. Questo significa che i mercati sono convinti che la Fed, alzando i tassi con forza ora, causerà un brusco rallentamento dell’economia e dunque sarà costretta a tagliare i tassi in futuro. Ecco perché le Borse americane, tra le notizie negative, hanno galleggiato durante la giornata anche in terreno positivo. Dopo la “nottata” dei tassi, insomma, guardano già all’alba.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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