STUPIDA RAZZA

giovedì 30 giugno 2022

Grano, i tagli di fertilizzanti e la siccità abbattono la produttività fino al 25%

 

La siccità oggi è senza dubbio la prima delle iatture per l’agricoltura italiana. Ma anche l’ombra della guerra fra Russia e Ucraina continua ad allungarsi sui campi. Prendiamo il grano per esempio, la trebbiatura comincia proprio in questi giorni. Secondo le principali associazioni degli agricoltori, la mancanza di acqua porterà a una riduzione della resa tra il 15 e il 25% a seconda delle zone del Paese. Ma chi oltre all’acqua ha rinunciato ai fertilizzanti perchè erano troppo cari o introvabili, visto che la Russia non ne sta fornendo più, allora dovrà dire addio addirittura alla metà del raccolto. Quando si parla di grano tenero, non tutti sanno che in Italia è la provincia di Alessandria a detenere il record di produzione nazionale: «Oggi come oggi - racconta Paolo Viarenghi, direttore della Cia-Agricoltori italiani provinciale - è chiaro che la siccità è un dramma ben peggiore della mancanza di concimi azotati e nella nostra provincia causerà un calo delle rese generalizzato del 15- 20%. Ma chi, per una serie di valutazioni economiche, a primavera aveva scelto di usare meno fertilizzanti, ora si ritrova con rese inferiori addirittura del 50%». Nella sua zona, di coltivatori che oggi si mangiano le mani Viarenghi ne conosce parecchi: «Almeno il 15% di chi ha seminato grano, da queste parti, quest’anno aveva diminuito i fertilizzanti nei campi». Difficile però fargliene una colpa. Perchè a primavera, di concimi azotati, se ne trovavano pochi: «Non siamo riusciti a procurarceli nemmeno attraverso la nostra cooperativa di riferimento - racconta - e dire che alcuni di noi erano disposti anche a pagarli qualsiasi cifra». Già, il prezzo. Una variabile non da poco. È quella, dicono gli agricoltori, che ha fatto la differenza. «I fertilizzanti - ricorda il direttore della Cia di Alessandria - incidono per il 30% sui costi di produzione di alcune colture. L’anno scorso i concimi azotati costavano tra i 30 e i 36 euro al quintale, quest’anno a primavera erano saliti a 100 euro». I dati di Cai, i Consorzi agrari d’Italia, confermano esattamente le percezioni dei coltivatori piemontesi: a marzo 2022 mancava il 40% del fabbisogno di fertilizzanti azotati per le campagne di semina primaverili e i prezzi dell’urea, la materia prima usata per produrli, erano di mille euro alla tonnellata, contro i 350 euro del 2021. Il fatto è che Russia e Bielorussia insieme sono i principali esportatori di urea - la quale a sua volta deriva dal metano - e come rappresaglia contro le sanzioni occidentali hanno deciso di fornirla col contagocce. La speculazione poi ha fatto il resto, soffiando sul fuoco dei rincari. Il risultato è che ora gli agricoltori rischiano di non venir remunerati: «Oggi le quotazioni del grano tenero si aggirano intorno ai 40 euro al quintale - calcola Viarenghi - a questi prezzi ci stiamo dentro, ma se si dovesse scendere sotto i 32 euro al quintale siamo morti. Temiamo soprattutto la speculazione: due settimane fa il prezzo del mais è sceso da 40 a 36 euro al quintale solo per la notizia che erano state sbloccate due navi in Ucraina. Nemmeno si sapeva cosa trasportavano, quelle navi». I produttori di fertilizzanti però non sono d’accordo, secondo loro il prodotto sugli scaffali non è mai mancato: «I dati ufficiali dell’Istat li avremo fra molto tempo - sostiene il presidente di Assofertilizzanti, Giovanni Toffoli - e le nostre statistiche interne saranno pronte solo a fine luglio. Ma la sensazione, come operatore di mercato, è che non sia mancato niente. Anzi, nei magazzini portuali c’è ancora merce invenduta». Sull’aumento dei prezzi, invece, i produttori concordano: «Le quotazioni - dice Toffoli - avevano già cominciato a salire lo scorso ottobre, quindi prima della guerra, in concomitanza con l’aumento dei costi dell’energia. A grandi linee, direi che il prezzo dell’urea è aumentato tra le due e le due volte e mezzo in un anno. Ora però, a livello internazionale, le sue quotazioni sono addirittura in calo». Il mercato italiano dei fertilizzanti vale circa un miliardo di euro. Ogni anno nei campi italiani vengono rilasciate circa 2,7 milioni di tonnellate di concimi. Di questi, la metà sono a base azotata, poi ci sono i fertilizzanti chimici a base di fosforo e quelli a base di potassio. E poi c’è la categoria dei concimi organici: reflui zootecnici, sottoprodotti della macellazione animale, digestati, fanghi da depurazione e tutti gli altri scarti agricoli. Sul totale dei fertilizzanti, quelli minerali rappresentano l’80%, quelli organici il 20%. La grande domanda sul tavolo dunque è: si può far rotta sui secondi, visto che i primi scarseggiano e costano cari? Per il presidente Toffoli, grandi alternative al momento non ci sono: «L’industria europea dei fertilizzanti sta investendo molto soprattutto nei biostimolanti, che aumentano la capacità delle radici delle piante di assorbire le sostanze come l’azoto». Insomma di concimi azotati se ne potrà anche dare meno, ma bisognerà pur sempre darli. Invece per Pietro Nicolai, responsabile ambiente della Cia-agricoltori, i fertilizzanti organici hanno davanti a sè un futuro interessante: «Non possono sostituire quelli chimici in tutto e per tutto, ma il loro uso deve essere incrementato. Un fertilizzante organico interessante è il digestato che deriva dalla produzione di biogas e biometano. È un sottoprodotto, quindi non ha costi particolari, e il Pnnr ha stanziato 1,9 miliardi di euro per favorire la realizzazione di impianti di biogas e biometano». Il principale problema oggi, dei concimi organici, è che non possono essere trasportati facilmente e quindi possono essere utilizzato solo a poca distanza da dove vengono prodotti: «Il prossimo passo -dice Nicolai - è lavorare per stabilizzarli ed essiccarli». 

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