STUPIDA RAZZA

giovedì 23 giugno 2022

Nonostante le sanzioni l’export di petrolio russo cresce

 

L’Europa cerca (a fatica) di prendere le distanze dal petrolio russo, ma l’India e ora anche la Cina comprano a piene mani, seguite da molti altri Paesi emergenti che un mese dopo l’altro, attirati da sconti di prezzo crescenti, intensificano gli acquisti. Il risultato è che oggi Mosca – nonostante le sanzioni occidentali – è tornata a esportare come e più di quanto faceva prima della guerra in Ucraina: addirittura a ritmi che non raggiungeva da tre anni se si guarda al greggio trasportato via mare, con volumi medi di 3,88 milioni di barili al giorno nella prima metà di giugno, stima Kpler. Rispetto a gennaio-febbraio, c’è stato un incremento di 576mila barili al giorno. In totale le esportazioni petrolifere russe (sempre via mare) sono risalite a 6,4 mbg, 170mila in più rispetto a prima della guerra. Per i prodotti raffinati c’è stata una flessione (-400mila bg per Kpler), ma il rimbalzo delle vendite di greggio è stato abbastanza forte da compensare. Si tratta di una svolta in gran parte inattesa. L’export russo aveva subìto un brusco calo poco dopo l’avvio delle ostilità in Ucraina, legato al boicottaggio spontaneo da parte di molti clienti europei. Era ovvio che Mosca provasse a rifarsi in Asia, ma pochi avevano immaginato un tale successo in tempi così rapidi. Anche la produzione dei giacimenti aveva iniziato a crollare e la perdita ad aprile di circa un milione di barili al giorno sembrava solo l’inizio. Persino il governo russo aveva ammesso che l’output di greggio rischiava di ridursi ai minimi da 17 anni. E gli alleati dell’Opec+ stavano valutando una sospensione dal sistema delle quote produttive. A maggio il colpo di coda. Le esportazioni russe hanno ripreso a correre: non verso l’Europa (dove comunque si sono stabilizzate invece di continuare a diminuire) ma verso l’Asia. E a fare davvero la differenza è stata la Cina, che in uscita dai lockdown ha accelerato gli acquisti, rivolgendosi soprattutto alla Russia, che ora è di nuovo il suo maggior fornitore, dopo aver scavalcato per la prima volta da 19 mesi l’Arabia Saudita. Pechino ha comprato da Mosca ben 8,42 milioni di tonnellate di greggio il mese scorso, dicono le statistiche doganali: l’equivalente di 1,98 mbg, +28,5% da aprile e +55% rispetto a maggio 2021. Da Riad sono invece arrivati 1,84 mbg (+9%), mentre in generale le importazioni sono salite del 12% su base annua a 10,3 mbg. Più che una scelta politica sembra un tema di convenienza economica: i barili russi a parità di caratteristiche costano molto meno di quelli mediorientali, con il greggio Ural che ormai vale 40 $ meno del Brent (in tempi normali lo sconto è di una decina di dollari). Per altre materie prime del resto non c’è stato un analogo assalto alle forniture russe: l’import cinese di alluminio si è ridotto di un quinto, quello di nickel addirittura del 90%. Anche all’India a far gola è soprattutto la convenienza del greggio russo. Delhi – che a differenza di Pechino un tempo si riforniva ben poco da Mosca – ha iniziato subito a farne il pieno quando è scoppiata la guerra in Ucraina, tanto da aver già incamerato quasi 60 milioni di barili quest’anno, stima Kpler, contro i 12 milioni dell’intero 2021: forniture finite nelle enormi raffinerie del Paese, che poi vendono carburanti in tutto il mondo. «Monitorare che fine fa il greggio russo sarà una sfida – commenta Wei Cheong Ho di Rystad Energy – L’Europa potrebbe ritrovarsi a importare benzina, diesel e altri carburanti che sono stati prodotti con greggio Ural». Rystad stima che tra marzo e maggio i raffinatori asiatici abbiano importato in media 1,517 mbg dalla Russia contro gli 1,14 mbg di gennaio-febbraio: un incremento di 503mila bg, a fronte di un calo di 554mila bg registrato in Europa (dove nello stesso periodo siamo scesi a 1,49 mbg). Di recente il greggio russo ha trovato uno sbocco anche in Africa, osserva Rystad, con flussi intorno a 200mila bg a giugno che «potrebbero rafforzarsi nei prossimi mesi». Kpler punta inoltre un faro sulla Turchia, che ha raddoppiato gli acquisti da gennaio-febbraio (a 260mila bg), e sulla Bulgaria, che li ha più che triplicati superando 200mila bg. Per la Russia si sta dimostrando più difficile esportare carburanti fuori dall’Europa (anche se noi continuiamo a comprare parecchio, soprattutto diesel). Ma le vendite di greggio vanno così bene che persino la produzione dei giacimenti è in ripresa: l’Opec+, su dati di fonti secondarie, stima un output di 9,273 mbg a maggio contro i 9,159 mbg di aprile. Mosca non può ancora cantare vittoria. Tra 6-8 mesi entrerà in vigore l’embargo europeo, che dovrebbe far crollare del 90% gli acquisti di greggio e carburanti dei Paesi Ue. Ma soprattutto – salvo ripensamenti – a fine anno scatterà il divieto di assicurazione dei carichi marittimi, che Bruxelles punta a coordinare con Londra: misura severissima, in grado di ostacolare le esportazioni russe in tutto il mondo. Proprio questa misura potrebbe però essere annacquata. Gli Stati Uniti – in allarme per possibili carenze e ulteriori fiammate dei prezzi – stanno ora premendo sull’Europa perché torni sui suoi passi adottando un approccio più morbido.

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