STUPIDA RAZZA

giovedì 23 giugno 2022

Listini termometro del declino Si rischia un’atomica sui risparmi

 

Le montagne russe in Borsa non sono una novità, si manifestano più o meno regolarmente e sono parte integrante dei mercati finanziari. Sarebbe la normalità se a fronte di repentine cadute o lunghi cicli negativi seguissero cicli espansivi con risalita dei prezzi. Nel maggio 2007 il Ftse Mib arrivò a toccare 44.364 punti, fino a crollare a 12.332 (-72%) nel marzo 2009. Oggi siamo intorno ai 21.000 punti, ben lontani quindi dall’aver recuperato i crolli della crisi finanziaria di quegli anni. Senza quindi riferirci alla follia del 2000, quando Tiscali, Finmatica, Freedomland valevano più della Fiat e oggi o sono fallite o valgono due noccioline, e prendendo come riferimento la crisi del 2008, vediamo che mentre l’in d ic e americano ha più che raddoppiato il suo valore e quasi tutti gli indici principali hanno recuperato quei crolli, la Borsa italiana è cresciuta molto meno. Se il mercato dei principali titoli costituisce un indicatore della ricchezza di un Paese, l’Italia ha perso in questi ultimi 15 anni ricchezza e competitività. Non sono solo titoli piccoli ad aver polverizzato patrimoni; se guardiamo la seconda banca italiana, Unicredit, il 9 maggio 2007 valeva 426 euro, oggi ne vale 10, ma queste notizie non passano. I risparmi italiani fanno ancora gola a molti, ma bruciare ricchezza in Borsa non è una cosa solo da ricchi, ridurre la ricchezza circolante in un Paese è un danno per l’intera comunità. Le discussioni più o meno recenti di una riduzione del debito pubblico fanno affidamento sul risparmio degli italiani, frutto di una cultura del lavoro che ha consentito al nostro Paese di divenire un Paese industriale riconosciuto in tutto il mondo; ma oggi la cultura del lavoro non c’è più, per una molteplicità di motivi. La pandemia ha impigrito gli italiani, il reddito di cittadinanza li ha demotivati ulteriormente e oggi siamo di fronte a un bivio in cui è difficile capire quale direzione prendere. I giovani, che magari son tornati in Sicilia in smart working durante la pandemia, non han più voglia di tornare a Milano a doversi sobbarcare un affitto e i costi della metropoli e soprattutto hanno più pretese rispetto al passato; il famoso apprendistato, dove un ragazzo imparava un mestiere, è diventato una offesa che lede il diritto del giovane, che vuole subito essere pagato il giusto (non sapendo sostanzialmente, molte volte, fare niente) e non ci pensa nemmeno a sacrificare i suoi weekend o a fare straordinari. L’imprenditore si trova di fronte a una scelta: accettare queste richieste, con il rischio ma anche con l’opportunità di avere nuovi collaboratori con cui pianificare una crescita dell’azienda, oppure rinunciare, chiudere la baracca e vivere con i risparmi di epoche passate, quando il profitto non era una colpa ma il sano premio di chi era disposto a rischiare e a rinunciare a sicurezze sociali e stipendi garantiti. È il grande punto interrogativo sul futuro dell’Italia: fino a quando il Paese si reggerà sul risparmio delle famiglie il Paese potrà, con qualche mugugno, reggere, ma il risparmio, se non alimentato, si riduce rapidamente e a quel punto questo Paese, con un sistema imprenditoriale sempre più debole, è destinato a saltare, a diventare una colonia e uno shopping center per Paesi più oculati e con una visione più strategica di interesse nazionale, anche questo ormai un concetto che non si può evocare senza essere tacciati di essere putiniani, trumpiani, o lepenisti. Dopo la pandemia, con risultati economici e sanitari disastrosi, con le idee confuse sulla guerra e con una recessione in arrivo, il risparmio degli italiani è seduto su una bomba atomica pronta a e s p l o d e re. 

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