STUPIDA RAZZA

giovedì 30 giugno 2022

Inflazione, in Europa allarme risparmio: 600 miliardi a rischio

 

Destano impressione le cifre sull’erosione dei depositi causata dall’inflazione. Secondo il Fact Book dell’associazione europea degli asset manager, il potere di acquisto fornito dai 10mila 321 miliardi custoditi nei depositi a fine 2016 si sarebbe ridotto di oltre 800 miliardi, fino ai 9.513 miliardi dello scorso dicembre. E alla fine del 2022, ipotizzando un tasso di inflazione media annua del 6,8%, l’emorragia rischia di allargarsi di altri 600 miliardi.Nell’anno d’oro del risparmio gestito, quel 2021 concluso a suo di record e per il momento irripetibile, i risparmiatori europei non hanno perso l’abitudine di parcheggiare nei depositi delle banche quantitativi elevati di denaro. Il «vizietto» potrebbe costare piuttosto caro in termini di erosione di potere d’acquisto da parte dell’inflazione, che nel frattempo ha ripreso a galoppare, oltre 1.400 miliardi di euro nell’arco dell’ultimo quinquennio. A rivelarlo sono le cifre contenute nell’Efama Fact Book 2022, lo studio che l’associazione che rappresenta gli asset manager a livello continentale ha appena pubblicato e che fa il punto della situazione nell’industria del risparmio. Nel 2021 i flussi netti diretti verso i fondi Ucits europei hanno registrato la cifra record di 812 miliardi, grazie soprattutto all’exploit dei prodotti azionari che con 405 miliardi hanno soppiantato il precedente primato fermo ai 162 miliardi dal 2017. Al tempo stesso sui conti corrente bancari è piovuta una cifra che non supera i mille miliardi come l’anno precedente, condizionato dall’esplosione della pandemia, ma si attesta comunque alla ragguardevole cifra di 696 miliardi. Dal 2016 in poi, spiega Efama, l’ammontare di depositi detenuti dalle famiglie europee è salito di oltre 3mila miliardi per raggiungere 13.375 miliardi, mentre la quota di questi ultimi sul complesso della ricchezza finanziaria dei risparmiatori è passata dal 37% al 38,3 per cento. C’è da immaginare che la montagna sia ulteriormente cresciuta in questi ultimi sei mesi, per effetto della maggior incertezza determinata dalla guerra Russia-Ucraina e dal concomitante crollo dei mercati finanziari. Ma anche se rischiano di essere già approssimate per difetto, le cifre contenute nel Fact Book sull’erosione causata dall’inflazione destano impressione. Il potere di acquisto fornito dai 10.321 miliardi custodito nei depositi a fine 2016 si sarebbe secondo le stime degli analisti ridotto infatti di oltre 800 miliardi fino a quota 9.513 miliardi dello scorso dicembre. E se si ipotizza un tasso di inflazione medio annuo del 6,8% nel 2022 l’emorragia rischia di allargarsi ancora di più di 600 miliardi alla fine di questo anno per raggiungere quota 1.413 miliardi. In alternativa Efama calcola anche che se ipoteticamente nel 2016 i risparmiatori europei avessero deciso di ridurre la quota di depositi al 25% della ricchezza complessivamente detenuta, e al tempo stesso investito il denaro liberato al 50% in fondi azionari e al 50% in fondi obbligazionari, il loro potere d’acquisto sarebbe invece cresciuto a 10.529 miliardi. «Il costo opportunità di mantenere un livello così elevato di denaro sui conti corrente bancari - conclude la simulazione - può quindi essere stimato pari a 1.016 miliardi e rappresenta una tassa implicita esercitata dall’inflazione». L’associazione europea dei gestori prova a portare l’acqua al proprio mulino, quando evidenzia l’utilità dei prodotti di risparmio e sul tema chiama in causa direttamente la Commissione europea. «Dato che la gran parte dei cittadini tende a essere miope e ignora l’impatto dell’inflazione - questo l’appello lanciato - sarebbe davvero utile se si includessero nuove iniziative nel piano d’azione per l’Unione dei mercati dei capitali in modo da aiutarli a capire il ruolo degli strumenti di investimento nel fornire protezione, in particolare di quelli detenuti con un orizzonte di lungo termine». L’Italia è come noto interessata in modo particolare da questo fenomeno, anche se in termini relativi il 41% che le nostre famiglie tengono parcheggiato sui conti corrente rappresenta una quota della ricchezza complessiva di gran lunga più bassa di quella di altri Paesi quali Grecia (82%), Cipro (78%) e Portogallo (67%) e inferiore anche al 53% detenuto dagli spagnoli o al 44% dei tedeschi. Dalla fine del 2016 però l’ammontare dei depositi degli italiani è cresciuto da 947 miliardi fino ai 1.163 miliardi del 2021 (per poi aumentare ulteriormente a 1.179 miliardi a fine aprile scorso). Se al nostro Paese si applicassero gli stessi parametri utilizzati da Efama per l’intera Europa, la perdita di potere d’acquisto alla fine dello scorso anno sarebbe di 74 miliardi e ulteriori 55 miliardi si potrebbero aggiungere quest’anno per effetto dell’accresciuto caro-vita. Il costo opportunità di tenere fermo il denaro sul conto sarebbe invece di 93 miliardi: una «tassa» ulteriore insomma, ma forse anche l’ennesima occasione perduta che gli italiani non possono permettersi di sopportare ancora.



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